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Perché non siamo più andati sulla Luna?

Sabino Maggi Sabino Maggi Segui 20-Aug-2024 · 5 minuti di lettura
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Nel gran mare dei complottisti e negazionisti ad oltranza, quelli che a giorni alterni affermano che il riscaldamento globale sia solo una invenzione per farci andare tutti a piedi, che riducono il COVID a banale raffreddore e che sostengono che il crollo delle Torri Gemelle sia stato orchestrato dal governo americano, i miei preferiti (per ovvi motivi) sono i terrapiattisti e quelli che sostengono che non siamo mai andati sulla Luna.

Già più duemila anni fa i filosofi greci, usando solo un po’ di logica e di geometria elementare, avevano capito che la Terra era una sfera e ne avevano persino calcolato con precisione la circonferenza.

Ma oggi, pur avendo a disposizione conoscenze scientifiche e tecnologiche che i greci si sognavano, ci sono ancora degli sciocchi che insistono nel sostenere che la Terra sia piatta. C’è chi gli crede, è vero, ma tutto sommato sono e rimangono solo quattro mattocchi disadattati. Tuttavia, da un po’ di tempo hanno escogitato un argomento che una qualche presa sul pubblico ce l’ha:

“Perché [dopo l’ultima missione dell’Apollo 17 del 1972, ndr] non siamo più tornati sulla Luna? Cosa c’è sotto?”,

con il corollario che nel frattempo

“Abbiamo perso la tecnologia per andare sulla Luna”.

Post di @TPiatta su Twitter
Post di @salvatore585 su Twitter
Post di @considerthedog su Twitter

Sono considerazioni che chiaramente non hanno nulla a che vedere con la Terra piatta. Ma tutto fa brodo, e queste insinuazioni riescono furbescamente ad instillare l’ombra del dubbio in chi non conosce, o non ha vissuto di persona, la storia delle missioni spaziali e del programma Apollo.


Fra la fine degli anni ‘50 e i primi anni ‘60, in piena Guerra Fredda, la Russia era innegabilmente molto avanti agli Stati Uniti nella corsa allo spazio. Essere riusciti il 12 aprile 1961 a mandare un uomo in orbita e a farlo rientrare sano e salvo sulla Terra fu un successo propagandistico enorme per l’Unione Sovietica ma terrorizzò gli americani. La corsa allo spazio, infatti, non era soltanto una questione di prestigio nazionale e di propaganda del proprio modello socio-economico, era soprattutto una questione militare, perché controllare lo spazio poteva significare essere in grado di sferrare un attacco nucleare contro il nemico senza dargli tempo e modo di reagire.

Il presidente Kennedy non perse tempo e diede carta bianca alle forze armate e alla NASA, con l’obiettivo di superare a tutti i costi i sovietici attraverso un progetto in grado di affermare il predominio statunitense nello spazio e allo stesso tempo di catturare l’immaginazione collettiva: lo sbarco dell’uomo sulla Luna, una rivisitazione in chiave moderna del viaggio di Colombo alla scoperta del Nuovo Mondo.

Ci vollero appena otto anni per realizzarlo, partendo praticamente da zero. Con il senno di poi sembra incredibile, ma la NASA disponeva di un budget praticamente illimitato e poteva contare sulla collaborazione dei migliori scienziati ed ingegneri del paese. Ci provò anche l’Unione Sovietica, che all’epoca disponeva di menti altrettanto sopraffine, ma i costi stratosferici obbligarono la dirigenza sovietica a desistere.

Ma il trionfo del 20 luglio 1969, quando Neil Armstrong mise per primo il piede sulla Luna, segnò anche l’inizio della fine. L’interesse del pubblico per le missioni lunari svanì rapidamente, e la crisi economica del 1973, che interruppe due decenni di straordinaria crescita economica, insieme agli eventi conclusivi della guerra del Vietnam, fecero il resto.

La NASA si ritrovò con un budget ridotto drasticamente da un giorno all’altro e dovette dedicarsi a progetti molto meno costosi ma anche meno visionari, come lo Space Shuttle e la Stazione Spaziale internazionale. La Luna rimase lì, un mondo interessante da esplorare con i robot ma precluso all’uomo, perché era diventato troppo costoso mandarci su qualcuno.

Per cui, se dal 1972 non siamo più andati sulla Luna non è perché non ne siamo più capaci – o perché, come pensa qualcuno, non ne siamo mai stati capaci – ma molto più banalmente perché costava troppo farlo.


Il corollario che sostiene che dagli anni ‘70 ad oggi “Abbiamo perso la tecnologia per andare sulla Luna” è ancora più risibile, perché fa pensare che alla NASA ad un certo punto siano impazziti ed abbiano fatto le grandi pulizie, buttando via tutti i documenti e i progetti relativi alle missioni spaziali.

La realtà è che i razzi, la strumentazione, le apparecchiature di controllo usate negli anni ‘60 e ‘70 per la missione Apollo, pur se avanzatissime per l’epoca, sono ormai obsolete e che per tornare sulla Luna dopo tanti anni si dovrebbe riprogettare tutto da zero, con i relativi costi. Ed è proprio quello che sta succedendo con il nuovo Programma Artemis,1 che infatti subisce continui ritardi e richieste di aumenti del budget.


Un ultimo aspetto da non trascurare, che aggiunge ulteriori costi ad un eventuale ritorno sulla Luna, è la questione della sicurezza.

In piena Guerra Fredda, rischiare la vita degli astronauti in nome della competizione con l’Unione Sovietica poteva essere considerato accettabile dalla NASA, dal governo americano e, tutto sommato, anche dall’opinione pubblica. Oggi, però, affidare la sopravvivenza dei nuovi esploratori lunari a capsule e moduli lunari fragilissimi fatti di lega di alluminio e polietilene sarebbe non solo impensabile, ma anche irresponsabile.

I progressi tecnologici e le attuali aspettative di sicurezza richiedono standard molto più elevati, e qualsiasi missione futura dovrà necessariamente tenerne conto, con conseguente aumento delle risorse necessarie per garantire il massimo livello di protezione possibile.

  1. Nella mitologia greca, Artermide (Artermis in inglese) è la sorella gemella di Apollo. 

Sabino Maggi
Pubblicato da Sabino Maggi Segui
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