Proprio come VisiCalc, WordStar, Photoshop, Hypercard o Netscape, Dropbox è stato uno di quei (pochi) software davvero innovativi e capaci di cambiare la vita dei suoi utilizzatori.
Se oggi l’idea di sincronizzare i propri file attraverso la rete sembra naturale, nel 2008 l’uscita di Dropbox rappresentò una vera e propria liberazione dalla schiavitù delle chiavette USB e dei CD riscrivibili.
Sulla scia di Dropbox sono venuti fuori decine e decine di servizi simili, più o meno meteorici e più o meno affidabili (Box, Sync, pCloud, iDrive, tanto per menzionare i primi che mi vengono in mente), fino all’arrivo dei pesi massimi, con servizi strettamente integrati nei sistemi operativi (Apple iCloud e Microsoft OneDrive) o con la vasta suite di applicazioni web e mobile (Google Drive).
Praticamente tutti questi servizi si basano su una idea semplice quanto geniale: creare sul computer una cartella speciale il cui contenuto viene sincronizzato automaticamente con i server dell’azienda e da lì con tutti gli altri computer e dispositivi mobili sui quali l’utente ha installato l’applicazione. Basta modificare un file di questa cartella per attivare il processo di sincronizzazione dal computer di origine a tutti quelli collegati.
Che io sappia, l’unica eccezione a questo modello di funzionamento è stato SugarSync, che permetteva di scegliere a piacere le cartelle da sincronizzare con il cloud e, per ciascuna cartella selezionata, i computer con i quali effettuare la sincronizzazione. Era un modello più complicato di quello di Dropbox e affini, è vero, ma era anche molto più flessibile.
Ho usato SugarSync finché non è diventata esclusivamente a pagamento e con prezzi da boutique (oggi sincronizzare 100 GB conSugarSync costa ben 7.49 dollari al mese, quando con iCloud e Dropbox si spendono 9.99 dollari per 2 TB), francamente dubito che qualcuno lo usi davvero.
Però non devo essere stato l’unico a rimpiangere il modello di funzionamento di SugarSync, perché qualcuno ha pensato di riprodurlo. E ha fatto di meglio.
Questo qualcuno è Jakob Borg, che dieci anni fa ha sviluppato Syncthing, un nuovo strumento di sincronizzazione in grado di “sincronizzare i file tra due o più computer in tempo reale, al sicuro da occhi indiscreti”.
A differenza dei prodotti più diffusi, Syncthing non utilizza un server centrale, ma tutti i dati vengono trasmessi in modalità peer-to-peer da un computer all’altro usando un canale di trasmissione bidirezionale sicuro basato sul protocollo TLS e identificando ogni computer che partecipa alla rete privata di sincronizzazione tramite un certificato crittografico.
In altri termini, se scegliamo una cartella del computer A
da sincronizzare con il computer B
, tutto il contenuto della cartella viene trasmesso direttamente da A
a B
, senza passaggi intermedi e crittografando tutti i dati. La trasmissione è bidirezionale, quindi qualunque modifica al contenuto della cartella sincronizzata effettuata su A
si rifletterà quasi immediatamente sulla cartella corrispondente di B
e viceversa.
La cartella sincronizzata risiedente su B
può anche avere un nome diverso e può essere situata in una posizione diversa del disco rispetto alla cartella originale su A
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Dimenticavo, Syncthing è open-source, una cosa che non fa mai male, ma che in questo caso è particolarmente importante perché garantisce che dentro il programma non ci sia codice malevolo che possa fare delle porcherie con i nostri file.
Uso Syncthing da anni e non ho mai perso nemmeno un bit. Con gli anni il programma è migliorato parecchio, non tanto nell’interfaccia utente basata su una applicazione web piuttosto minimale, ma proprio in ciò che conta di più, cioè nella modalità e nell’efficenza del processo di sincronizzazione, che ora avviene molto più velocemente di quanto accadesse in passato.
Non ne ho mai parlato prima perché Syncthing poteva girare tranquillamente su Linux, macOS, Windows, vari BSD e su Android, ma non su iOS, una limitazione molto seria che lo rendeva inadatto per la maggior parte dei lettori di questo blog.
Di recente, tuttavia, l’app di sincronizzazione disponibile su iOS ha introdotto una modalità, definita sperimentale ma che funziona molto bene, grazie alla quale è finalmente possibile utilizzare Syncthing in modo efficace anche su iPhone ed iPad. E allora non ho avuto più scuse per non scriverne.
Ma ne riparliamo nel prossimo articolo, che sarà dedicato all’installazione e alla configurazione di Syncthing su macOS e, più in generale, sui sistemi operativi desktop.
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Secondo me per motivi pratici è preferibile non farlo, però la funzione esiste e chi ne ha bisogno può usarla. ↩