Ed ecco il Mac Studio. Ho dovuto fare una lunga trafila burocratica per averlo, ma alla fine ce l’ho fatta ed ora è qui davanti a me.
La prima cosa che si nota è che la scatola è pesante, molto pesante. Le specifiche dicono che il Mac Studio è grande e pesa più o meno quanto tre Mac Mini messi uno sull’altro (19.7 x 19.7 x 9.5 cm^3 e 3.6 kg per il Mac Studio contro 19.7 x 19.7 x 3.6 cm^3 e 1.2 kg per il Mac Mini). Io non ho mai preso in mano tre Mac Mini insieme, ma in ogni caso la scatola dà una bella impressione di solidità, che per un oggetto costoso come questo è una cosa più che positiva.
Il Mac Studio in effetti non è economico, la configurazione che ho scelto è quasi al top – processore M2 Ultra con CPU a 24 core, GPU a 60 core e Neural Engine a 32 core, 128 GB di RAM e disco SSD da 1 TB, – ed è venuta a costare un pelo meno di 7.000 euro, cioè quanto due Vision Pro.
Ma la qualità costa, e del resto per una workstation HP, Dell o Lenovo con caratteristiche equivalenti bisogna tirare fuori dai 1.000 ai 4.000 euro in più.1 Apple, in questo caso, è perfino conveniente.
Unboxing
Non sono un fanatico dell’unboxing, ma il Mac Studio merita questo rito di iniziazione. La scatola del Mac Studio è un parallelepipedo più sviluppato in altezza che in larghezza, fatto interamente di cartone pressato molto robusto.
Aprire la scatola è facilissimo, basta tirare la linguetta e aprire a libro un lato della scatola, una cosa che mi ricorda il sistema di apertura del Mac Pro G4.
Vedere il Mac Studio coricato su un lato fa un po’ impressione, e sembra che possa cadere in ogni momento. Ma le alette laterali sono molto più robuste di quello che appare e il Mac Studio è troppo grosso per sfuggire alla loro presa.
A questo punto bisogna coricare la scatola su un lato, allargare le alette nel senso delle frecce, togliere la pellicola protettiva di carta e prendere finalmente in mano il Mac Studio.2
Sembra davvero un Mac Mini cresciuto in altezza e ora sembra pesare il giusto in rapporto alle sue dimensioni. Tutto il peso aggiuntivo è dovuto alla scatola che, ora si vede benissimo, è studiata per proteggere al meglio il prezioso oggetto al suo interno.
Anche il cavo di alimentazione è un’opera di ingegneria, piuttosto spesso ma molto flessibile e con una guaina in tessuto che mi ricorda quella dei vecchi ferri da stiro. Questo però ha una trama molto più fitta ed è inequivocabilmente molto più elegante. Peccato per la spina, io avrei preferito una Schuko, ma pazienza.
Collegare il cavo di alimentazione e quello USB-C per il monitor è un attimo. Anche collegare la tastiera e il mouse wireless (Logitech, entrambi ottimi) è facilissimo, mi basta togliere il dongle USB dal mio solito Mac e infilarlo in una porta del Mac Studio, senza bisogno di configurare niente o di trafficare con il Bluetooth.
Più complicato trovare il tasto di accensione. È sull’angolo in basso a sinistra, perfettamente a filo con il corpo della macchina, al tocco non si sente praticamente niente. Ma una volta premuto, badaboom! pochi secondi e sono sullo schermo di benvenuto di macOS. Una veloce configurazione del sistema (tanto lo devo reinstallare) e compare il desktop di Sonoma.
Reinstallazione di macOS
Chiamatemi fissato ma io reinstallo sempre macOS da zero su ogni nuovo Mac che mi capita per le mani. Non so, sarà un retaggio del passato, sarà appunto una fissazione, sarà puro desiderio di controllo, ma sta di fatto che non ho mai usato un Mac dove non ho installato personalmente macOS.
Per farlo sui Mac basati su processore Apple Silicon bisogna tenere premuto il tasto di accensione finché non compare l’icona Options
a forma di ruote dentate concentriche, in genere affiancata a una o più icone che rappresentano i dischi del Mac. Cliccando su Options
e confermando la scelta si carica il programma di Recovery di macOS.
Una volta caricato il Recovery, inizializzo prima il disco di sistema con Utility Disco, dandogli un nome più significativo del solito Macintosh HD
(in genere lo stesso nome che uso in rete in modo da averlo sempre davanti agli occhi), e poi reinstallo macOS tramite la ormai semplicissima procedura guidata.
Come sempre, il tempo di installazione visualizzato è del tutto inattendibile: le tre ore e passa necessarie mostrate all’inizio dell’installazione diventano in realtà una quarantina di minuti, che non è poco ma non è nemmeno un tempo esorbitante per installare un sistema operativo complesso come macOS.
Curioso anche che, dopo il riavvio d’ordinanza, la risoluzione dello schermo diventi così scarsa, per tornare normale una volta comparsa la schermata di benvenuto di macOS. Mai vista una cosa del genere in altre versioni di macOS, però è anche vero che ormai la maggior parte delle (re)installazioni le faccio sui MacBook che, a differenza dei sistemi desktop, hanno un hardware ben definito.
La configurazione iniziale di macOS, questa volta fatta in modo accurato, non ha storia e dopo pochi minuti sono di nuovo sul desktop di Sonoma. E qui inizio davvero a toccare con mano come si comporta il Mac Studio.
Come va il Mac Studio?
Il Mac Studio va che è una bellezza (ma poteva essere diversamente?), tutto è fluido e senza la minima incertezza. Succede anche con gli altri Mac con processore Apple Silicon ma qui, rispetto agli Air e ai Mini con cui ho avuto a che fare finora, si nota immediatamente che siamo su un gradino superiore (magari anche due).
L’installazione delle applicazioni è immediata: doppio click sul .dmg, trascinamento dell’icona nella cartella Applicazioni
e… già finito, senza nemmeno avere il tempo di vedere la finestra di dialogo che ci informa che sta copiando il file. Con le applicazioni davvero grosse, tipo GNU Emacs, GIMP o Miniconda, si possono aspettare due-tre secondi, ma niente di più.
Finora solo QGIS gli ha dato un po’ di filo da torcere, perché sul Mac Studio l’installazione di questa applicazione dura ben due minuti e mezzo. Ma si tratta di un mostro di 3 GB, che contiene al suo interno migliaia e migliaia e migliaia di piccoli file, da copiare uno ad uno. Non a caso il processo di installazione è molto più veloce all’inizio, quando vengono copiati i file più grossi, e rallenta visibilmente solo quando arriva a copiare i tantissimi piccoli file di supporto.
Non ho volutamente provato ad usare Geekbench o simili per misurare le prestazioni del Mac Studio. La rete pullula già di questi dati e la mia sarebbe stata solo una ripetizione inutile. In realtà mi interessa di più vedere come si comporta il Mac Studio con le applicazioni davvero impegnative, ho già qualche indicazione ma voglio aspettare ancora un po’ a parlarne.
Sonoma però è una palla al piede, si vede subito che è ancora un sistema operativo pieno di bachi e di incongruenze (che farò vedere nel prossimo articolo) e non rende giustizia a quello che può fare davvero il Mac Studio.
Apple ci ha abituato ad un approccio tick-tock per i suoi sistemi operativi (come quello che per anni ha seguito Intel per i suoi processori): un anno fa uscire un sistema operativo innovativo ma lento e bacato, e l’anno dopo (a volte due) pubblica una versione che comprende quasi solo correzioni di bug e ottimizzazioni. È successo con Leopard e Snow Leopard, e poi con Lion e Mountain Lion. Più tardi ha ripetuto il giochetto con El Capitan, praticamente perfetto, che veniva dopo gli orrendi Mavericks e Yosemite, e anche con Mojave, che seguiva due versioni opache come Sierra e High Sierra, nonché più recentemente con Monterey, davvero ottimo dopo il disastro di Catalina. Sonoma, in teoria, sarebbe la versione bug-fix di Ventura, e invece è una delusione. Speriamo che al prossimo WWDC di giugno Apple ci metta una pezza, e pure bella grande.
Conclusioni
Tutto l’unboxing e la configurazione del Mac Studio l’ho fatta a casa mia, per poter lavorare in pace evitando il solito caos dell’istituto. Ma dopo una settimana il Mac Studio ha traslocato, prendendo posto al centro della scrivania del mio ufficio, in mezzo a monitor, tastiere, mouse, cavi e ammennicoli vari.
E il mio vecchio computer con High Sierra? Quello è destinato ad un nuovo progetto e sono proprio curioso di vedere cosa ne verrà fuori. Stay tuned!
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C’è da dire che le suddette workstation sono, almeno in teoria, più espandibili del Mac Studio, ma nel mio caso specifico l’espandibilità non è un fattore importante. ↩
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Nella scatola non c’è nemmeno un pezzetto piccolo piccolo di plastica. Non sarà molto dal punto di vista ambientale, ma dimostra che si può fare. ↩