– Telescrivente a nastro perforato. Fonte: Aurora Ciardelli.
Il primo giorno del CAR, il Centro Addestramento Reclute dell’esercito che formava i militari di leva prima che venissiro assegnati alle rispettive sedi (cioè insegnava a marciare e ad urlare sissignore a squarciagola), mi comunicarono che sarei stato assegnato al battaglione Trasmissioni di Torino, per lavorare con un “nuovo sistema informatico” che avrebbe dovuto gestire i messaggi delle telescriventi.
Chiaramente non ci capii niente. Sapevo cosa fossero le telescriventi, nei laboratori che avevo frequentato prima della laurea c’erano ancora in giro delle telescriventi collegate a dei vecchi computer, ma non avevo idea del perché le usassero i militari e, soprattutto, perché servisse un “nuovo sistema informatico” per gestire quelli che già allora, alla metà degli anni ‘80, erano dei ruderi elettromeccanici.
Il CAR finì e venni davvero assegnato dove mi avevano detto. Il “nuovo sistema informatico”, però, non era ancora pronto e nel frattempo io, con una ventina di altri militari di leva, venni messo davanti ad un telescrivente a nastro perforato, più o meno come quella in figura, a ricevere telex 24 ore su 24.
Un lavoro durissimo: la sala telex conteneva una dozzina di macchine sempre in funzione, il rumore era assordante e i turni estenuanti. Arrivavano messaggi in continuazione, e tutti dovevano essere letti, classificati per importanza e registrati su un quaderno, separando e marcando i nastri di carta di ciascun messaggio.
La maggior parte dei messaggi era inutile, “Il soggiorno termale del sottufficiale Tal dei Tali viene rimandato dalla data X alla data Y”, alcuni erano relativamente seri, “Il militare Pinco Pallino non è tornato in caserma dopo la licenza”, ma bisognava stare sempre in allerta nel caso fosse arrivata una comunicazione davvero importante, come quella di un incidente, di un terremoto o, peggio, dello scoppio del sempre temuto conflitto fra Patto di Varsavia e NATO. La cosa snervante era proprio quella di classificare correttamente i messaggi, se sbagliavi potevano essere guai seri, per fortuna quando ci sono stato io non è mai successo niente di importante.
Il lavoro ai telex era così pesante che ogni due giorni di lavoro (quasi) continuativo ci davano altrettanti giorni di riposo, a casa. Non era una concessione, ma una vera necessità. In caserma ci consideravano dei raccomandati (paraculati nel gergo sempre finissimo della caserma), ma chi lo pensava non aveva idea di cosa significasse passare sveglio una notte ogni quattro davanti ad un telex che sputava continuamente carta, finendo per crollare letteralmente sulla tastiera nei rari momenti di pausa.
Io intanto ero sempre più incuriosito dal “nuovo sistema informatico” che era in costruzione in un’ala seminascosta del piano dei telex. Per fortuna i sergenti del centro stavano seguendo un corso di informatica, e io durante i turni nei weekend, quando il lavoro era molto più leggero, riuscivo a farmi dire qualcosa, barattando le informazioni con delle spiegazioni facili-facili sui computer.
Eh sì, perchè a quei poveretti, che a malapena avevano la licenza media o poco più, venivano impartite auliche lezioni sull’architettura della CPU o sulle differenze fra memoria RAM statica e dinamica, lezioni di cui sistematicamente non capivano niente. Non era colpa loro, in fondo si impegnavano, cercavano di prendere appunti, ripetevano a pappagallo i concetti. Il problema era che gli mancavano le basi, e gli insegnanti non si preoccupavano di scendere sulla terra e preparare delle lezioni accessibili al pubblico che gli stava davanti. E così diventai il loro insegnante alternativo da weekend, una cosa molto divertente e che mi faceva uscire per un po’ dal solito tran-tran da caserma. Probabilmente da queste lezioni ho imparato più io di loro.
E così seppi anche quello che mi aspettava. Il cosidetto “nuovo sistema informatico” era di fatto un mainframe che avrebbe dovuto gestire tutto il traffico di comunicazioni della Regione Militare Nord Ovest, sostituendo in tutto e per tutto i vecchi telex. Eravamo a metà degli anni ‘80, i computer non erano potenti come quelli di oggi, ma usare un mainframe per gestire qualche migliaio di telex era già allora una cosa eccessiva, un minicomputer come il VAX o il MicroVAX della DEC, diffusissimi nelle università, oppure l’HP 3000 o l’IBM System/36 sarebbero stati più che sufficienti. Ma si sa, quando c’è da buttare un po’ di soldi l’esercito sa bene il fatto suo.
In ogni caso, in quel momento erano in corso i lavori di ristrutturazione dell’area che avrebbe ospitato il nuovo supercomputer, lavori che non si sarebbero conclusi prima di alcuni mesi. In sostanza, era più che probabile che avrei finito il militare ben prima di vedere come fosse fatto e come funzionasse il “nuovo sistema informatico”.
Non era un problema, lavorare ai telex tutto sommato mi piaceva e ormai c’era un bell’affiatamento con il resto della squadra. In più, abitando a Torino, poter stare due giorni su quattro a casa mi faceva molto comodo.
Poi arrivò la chiamata che cambiò definitivamente il mio status di militare, ma questa storia la racconterò la prossima volta.