Sono stato combattuto a lungo sul nome da dare a questa serie. In un primo momento avevo scelto “Racconti dal sottosuolo”. I primi computer che ho usato stavano proprio sotto terra, prima sotto il vecchio Dipartimento di Fisica di Torino e l’anno dopo nella dependance sotterranea del centro di calcolo dell’Università (ora c’è un supermercato), dove riuscivo ad entrare di straforo grazie all’aiuto di un amico che studiava informatica. Stare sottoterra, quindi, è stato per me all’inizio una condizione naturale per usare un computer.
Ma ripensandoci “Racconti dal sottosuolo” era un titolo troppo altisonante, quasi dostojevskiano, e anche troppo personale per essere comprensibile ai più.
E allora è diventato quasi ovvio scegliere “Schede perforate”. Sono abbastanza vecchio da averle usate per un anno, proprio in quel primo anno passato molto spesso nel sotterraneo di Fisica, e per me rimangono ancora associate in modo indissolubile al computer. Ne ho ancora alcune nella mia piccola collezione di vecchie glorie del computing, un paio di schede continuano ancora ad emergere ogni tanto da una montagnola di carte accanto mia scrivania, ma non mi decido mai a metterle in un posto più adatto.
Usare un computer con le schede perforate era un bell’affare. Bisognava scrivere con pazienza il programma sulle schede, una riga di codice per scheda, usando una specie di macchina da scrivere elettrica accoppiata ad un grosso macchinario che prendeva le schede nuove da una pila, le bucava nei punti giusti e infine spostava la scheda finita su una seconda pila, pronta per essere letta dal computer.
– Perforatrice modello IBM 029. Fonte: Columbia University Computing History.
Di queste perforatrici, tutte IBM naturalmente, allora IBM era la dominatrice indiscussa del mercato dei computer “seri”, nel piccolo sotterraneo di Fisica ce ne saranno state almeno una decina e il rumore che facevano era infernale. Pochi giorni fa un membro giovane del gruppo si lamentava del ronzio del server nella sua stanza, avrei voluto fargli sentire cosa c’era laggiù!
Una volta pronte le schede, bisognava prendere la pila e portarla nella stanzetta del lettore, aspettando pazientemente il proprio turno per farle leggere ed elaborare. A questo punto era solo una questione di fortuna, se il computer centrale era scarico o se per qualche combinazione astrale il proprio job riusciva a passare davanti agli altri, si poteva avere una risposta in pochi minuti, altrimenti potevano passare benissimo delle ore. Sempre sperando che il programma non finisse in un loop infinito e dovesse essere interrotto di brutto da un qualche sacerdote in camice bianco che stava chissà dove, una circostanza che veniva annunciata a piena voce nella stanzetta del lettore, a pubblico ludibrio del colpevole. Chiaro che, dopo un paio di volte che succedeva si stava bene attenti a non sottomettere un job prima di averlo controllato più che bene.
Se invece il programma si concludeva correttamente, prima o poi uscivano i risultati dell’elaborazione, stampati su degli enormi fogli perforati che bisognava imparare a tagliare alla perfezione senza mai interrompere il flusso di carta della stampante. Magari ci si era dimenticati di una virgola, e tutto quello che si otteneva era un messaggio di errore indecifrabile. Nel qual caso bisognava tornare alla perforatrice, correggere le schede sbagliate e ripetere tutto il processo.
Una vera tortuna, ma anche una scuola impareggiabile di precisione e di cura maniacale dei dettagli.
Un problema non da poco con le schede perforate è che bisognava portarle da una stanza all’altra, districandosi fra gli studenti che andavano e venivano. Io per fortuna usavo il FORTRAN e le mie pile di schede erano maneggiabili con facilità, ma per gli informatici che usavano il COBOL erano dolori. Non so niente di COBOL ma so benissimo da quegli anni che è un linguaggio di programmazione molto verboso, per cui le sue pile di schede erano molto, molto alte. Non ho mai dimenticato la ragazza buttata per terra a piangere dopo che aveva fatto cadere per terra una pila di centinaia e centinaia di schede perforate in COBOL per la tesi.
E non oso nemmeno immaginare cosa avrebbe fatto la signora fotografata qui sotto se fosse successo a lei.
– Il programma (presumibilmente) più lungo scritto con le schede perforate occupa ben 62.500 schede, corrispondenti a 5 MB di dati. Fonte: Computer Hope, Punch card.