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MacBook Air M1 la non-recensione: prime impressioni e reinstallazione di macOS Big Sur

Sabino Maggi Sabino Maggi Segui 29-Oct-2021 · 9 minuti di lettura
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Foto di Antonio Scalogna su Unsplash.

Perché una non-recensione? Perché il MacBook Air M1 è uscito già da un anno e nel frattempo sono state pubblicate dozzine di recensioni più o meno complete e più o meno interessanti (come ad esempio questa su Macworld, questa su The Verge oppure quest’altra su Rocket Yard), e non ha senso ripetere per l’ennesima volta le stesse considerazioni.

Nei prossimi articoli terrò quindi una specie di diario di appunti delle mie prime settimane alle prese con l’Air M1 e macOS Big Sur, cercando di affrontare alcuni aspetti meno battuti di questa macchina sorprendente.

Apertura e prime impressioni

Non so voi, ma per me l’apertura di una nuova scatola targata Apple è sempre una esperienza di per sé, e ogni volta mi stupisco per il livello di ingegnerizzazione e di attenzione ai dettagli più minuti raggiunto da questa azienda. Non che i concorrenti non cerchino di starle dietro, anzi: Apple ha tolto per prima il polistirolo dalle sue scatole e dopo un paio di anni l’hanno seguita tutti a ruota. Lo stesso è successo con le linguette che permettono di rimuovere con facilità la plastica protettiva. E potrei andare avanti.

L’imitazione però non è mai la stessa cosa: mesi fa ho dovuto combattere per aprire una piccola scatola composta da due parallelepipedi incastrati uno nell’altro, non c’era nessun modo di fare pressione per separarli. La scatola dell’iPhone è praticamente uguale, ma si apre con il tocco di un dito.

Ma torniamo all’Air. L’ho preso da Amazon ed è arrivato nella solita scatola sorridente, ben riempita di carta da imballo. Dentro questa c’era una seconda scatola marrone più piccola, contenente a sua volta l’inconfondibile parallelepipedo bianco targato Apple.

Nonostante l’aspetto dimesso, anche la seconda scatola è prodotta da Apple (la linguetta che facilita l’apertura dello scotch è inconfondibile), ed è anch’essa un discreto pezzo di ingegneria, sia per l’ottima protezione che fornisce all’Air durante la spedizione, che per le alette di cartone le quali, una volta allargate, fanno fuoriuscire leggermente la scatola bianca dell’Air. Sembra una cosa da niente, ma è l’ennesimo esempio della maestria di Apple anche in questi dettagli apparentemente secondari.

Una volta aperta la scatola bianca interna, il piccolo Air appare in tutto il suo splendore tecnologico grigio siderale, un colore più moderno del solito argento dei miei altri MacBook. I gusti sono gusti, ma questo mi sembra davvero azzeccato.

Mettere in funzione il computer è questione di pochi minuti, basta togliere i vari involucri di plastica, collegare il caricabatterie, aprire lo schermo e si parte. In realtà il caricabatterie non era necessario, l’Air è arrivato già carico all’80% e con le batterie moderne il vecchio rito di caricare un nuovo dispositivo fino al 100% prima di usarlo per la prima volta non è più necessario.

Anche la configurazione iniziale del sistema è velocissima, è vero che ho una certa pratica e so a memoria cosa devo attivare e cosa no, ma è altrettanto vero che le informazioni da inserire sono ormai minime, perfino la lingua e il fuso orario sono configurati automaticamente grazie ai servizi di localizzazione.

Una volta entrati finalmente in Big Sur la prima cosa che colpisce è lo schermo Retina, e non poteva essere diversamente. Il normale schermo del MacBook Air Intel inizio 2015 da 1440x900 pixel non mi dispiaceva affatto, con i suoi 13.3 pollici era un po’ troppo piccolo per le mie abitudini ma comunque era piuttosto chiaro e ben definito. Ma lo schermo di questo nuovo Air M1 è un vero spettacolo, una risoluzione nativa di 2560 x 1600 pixel (4 volte quella del vecchio Air ed equivalenti a 227 pixel per pollice) ancora pochissimi anni fa sarebbe stata impensabile in un portatilino da poco più di 1.000 euro.

Cosa non fare

Ogni volta che ho per le mani un nuovo Mac non mi accontento di configurare il sistema ma devo sempre reinstallare da zero il sistema operativo. Mi rendo conto che può sembrare una fissazione, ma reinstallare il sistema operativo mi serve non solo per osservare di persona il processo di installazione delle varie versioni di macOS,1 ma anche per fare una prima valutazione della velocità della macchina, ed in particolare della sua memoria di massa, SSD oggi o disco rigido meccanico fino a qualche anno fa.

Ma se volete un consiglio, con Big Sur non provate anche voi a reinstallare da zero il sistema operativo (a meno che non siate obbligati a farlo), perché è facile sbagliare e ritrovarsi con un sistema non funzionante.

Da quando il sistema operativo non viene più distribuito su un supporto fisico, per reinstallare macOS bisogna riavviare il Mac e accedere alle utility di macOS Recovery. Sui Mac con processore Intel la procedura è ben nota: per reinstallare la versione di macOS installata in precedenza su quel Mac bisogna premere COMMAND (⌘) ed R all’avvio (mentre altre combinazioni di tasti permettono di installare l’ultima versione di macOS compatibile con il Mac in uso, oppure quella fornita originariamente con il sistema).

Sui Mac con processore M1 la procedura di accesso a macOS Recovery è stata ulteriormente semplificata, si deve spegnere il Mac e riaccenderlo continuando a premere il tasto di accensione finche non compare la scritta “Carico opzioni di avvio…”. Dopo qualche secondo comparirà una nuova finestra, dove bisogna selezionare il pulsante Opzioni e fare click su Continua (Figura 1), aprendo così la finestra principale di macOS Recovery con l’elenco delle utility disponibili (Figura 2).

Figura 1. Foto tratta dal sito di supporto di Apple, documento HT211983.

Figura 2. Foto tratta dal sito di supporto di Apple, documento HT212541.

Una volta arrivato a questo punto, in genere uso Utility Disco per formattare il disco di avvio, dandogli un nome più significativo del solito Macintosh HD di default, e poi eseguo l’installatore di macOS. Ed è proprio quello che ho fatto anche questa volta. Ma non ho tenuto conto che, quando il disco è formattato in APFS, il Volume su cui è preinstallato il sistema operativo non coincide necessariamente con l’intero disco rigido (non chiedetemi di spiegarlo meglio perché non ho ancora capito bene come funziona APFS). Il risultato finale è che, una volta uscito da Utility Disco e fatto partire il programma di installazione di Big Sur, mi sono ritrovato davanti un messaggio di errore che mi informava che non c’era “Nessun utente disponibile per l’autorizzazione”.

???

La temperatura esterna era ancora tiepida, ma ho sentito lo stesso i brividi correre dietro la schiena.

In questi casi – lo dico sempre ma è facile dimenticarsene – non bisogna mai farsi prendere dal panico, spegnere di brutto il computer o cliccare all’impazzata senza sapere bene cosa si sta facendo. La cosa più sensata da fare, invece, è prendersi una pausa, calmare l’ansia bevendo un tè o magari una camomilla, e poi andare a fare un giro su Google in cerca di informazioni affidabili. Per fortuna non sono l’unico ad aver fatto questa sciocchezza ed Apple ne è ben consapevole, per cui ho trovato subito un ottimo articolo sul supporto Apple che spiega in dettaglio il significato dell’errore e cosa fare per correggerlo.

Una volta letto l’articolo, è stato un attimo tornare in Utility Disco, cliccare sul menu Vista e attivare la voce Mostra tutti i dispositivi, in modo da riuscire a selezionare e ad inizializzare la radice del disco (quella denominata APPLE SSD seguita da un serie di numeri e lettere), cancellando così ogni minima traccia di macOS dall’SSD dell’Air.

Su un Mac con processore M1, questa procedura comporta il riavvio automatico del computer che, dopo essere stato riattivato tramite Internet, torna di nuovo in macOS Recovery utilizzando di default la lingua inglese. Una volta scelta la lingua preferita dal menu File, si può finalmente reinstallare il sistema operativo senza altri problemi. Per maggiori dettagli si può far riferimento al documento HT212030 sul sito di supporto Apple.

Con un Mac con processore Intel, la procedura non comporta il riavvio automatico del sistema, ma per il resto è identica alla precedente ed è descritta molto bene nel documento di supporto HT208496.

Reinstallazione di Big Sur

E dopo questa lunga descrizione di cosa non fare, veniamo finalmente all’installazione di macOS Big Sur sul MacBook Air. Il processo di installazione in sé è senza storia, ormai basta cliccare due o tre volte sul tasto Continua e il sistema fa tutto da solo. L’unico aspetto su cui bisogna fare un minimo di attenzione è la scelta del disco su cui installare macOS, ma l’Air ha solo un SSD interno per cui non si può sbagliare.

Quello che invece è molto interessante è il tempo di installazione. L’installatore di Big Sur è molto grosso ed occupa ben 12.5 GB, il 50% in più di Catalina (8.3 GB) e il doppio di Mojave (6 GB), ma nonostante ciò l’installazione sull’Air dura appena 20 minuti, il tempo di preparare un caffè con la moka e di leggere le nuove email.2 Da anni non annoto più i tempi di installazione di macOS sui Mac che mi passano per le mani, ma 20 minuti per una installazione completa (e così grossa!) sono davvero pochi, a quanto ricordo i tempi normali di installazione su disco SSD sono di almeno il doppio, ed è meglio non parlare di quanto durava un’installazione su un disco rigido meccanico.

Insomma, già il processo di installazione di Big Sur sembra indicare chiaramente quali saranno le prestazioni velocistiche di questo piccolo portatile. Ma di questo ne parliamo la prossima volta.

  1. Passando da Lion a Big Sur, senza nemmeno bisogno di tornare indietro nel tempo fino a Jaguar o a Tiger, le differenze nel processo di installazione di macOS sono davvero notevoli. Peccato solo che, a partire da Yosemite, abbiano tolto il video musicale di benvenuto

  2. Cambiano le versioni di macOS ma quello che rimane sempre costante è la scarsa accuratezza dei tempi riportati dall’installatore. Sull’Air M1, l’installer di Big Sur prevedeva inizialmente di impiegare ben 3 ore, per poi accelerare progressivamente fino al minuto finale, che in realtà è durato almeno cinque minuti. 

Sabino Maggi
Pubblicato da Sabino Maggi Segui
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