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Lo so, è da un mese che non pubblico niente sul blog. Non che mi manchino gli spunti, tutt’altro, la lista di cose da scrivere si allunga ogni giorno di più. Ma è dall’inizio di agosto che mi trovo ad affrontare una scadenza importante dopo l’altra, e appena ne supero una eccone un’altra ancora più pressante. Dopo giornate come quelle delle ultime settimane, è difficile mettersi di nuovo alla scrivania la sera per aggiornare il blog.
Ma il mondo deve sapere… 😂😂😂😂😂 e quindi quello che segue è il racconto (lungo!) di cosa ha significato affrontare la scadenza più importante di tutte, che purtroppo è stata anche la più fastidiosa e frustante. Una gara contro il tempo che mi faceva pensare alle prove assurde di Giochi senza frontiere, ma senza la goliardia e il buonumore degli originali.1
La storia interesserà, giustamente, solo a pochissimi frequentatori del blog. Tutti gli altri faranno bene a saltare direttamente alla seconda parte, deve racconto come ho affrontato questa prova con l’aiuto degli strumenti di cui parlo spesso in questo blog, LaTeX, R, script da Terminale, sistemi di controllo di versione.
Perché non è detto che uno debba imparare a programmare solo per fare delle cose serie. Anche riuscire a cavarsela meglio con le rotture di cabasisi di tutti i giorni può essere un’ottima scusa.
Tutto è cominciato ai primi di agosto, quando il CNR ha pensato bene di pubblicare i bandi di concorso ex Articolo 15 (dall’articolo del contratto che li prevede), per i passaggi di livello di ricercatori e tecnologi.2 Erano dieci anni che non uscivano dei concorsi di questo tipo (che dovrebbero invece avere una cadenza biennale), cosa potevano scegliere i nostri ineffabili vertici se non il mese di agosto per pubblicare i bandi?
Estate rovinata. Perché partecipare ad un concorso per passare ad un livello superiore non è uno scherzo e può richiedere mesi di lavoro.
Lo so per esperienza. Nel 2013 partecipai ad un altro concorso (di tipologia differente) per passare a dirigente di ricerca, il livello più alto nel cursus honorum della ricerca italiana. Il bando (ovviamente!) uscì a luglio con scadenza a settembre ma poi, a causa del cattivo funzionamento della piattaforma web messa su in fretta e furia per gestire quel concorso, la scadenza venne rimandata più volte fino a novembre. Il motivo principale era la scarsa affidabilità della piattaforma web, che era tanto sovraccarica da andare continuamente in crash, cancellando senza pietà tutte le informazioni non ancora salvate. Mi ricordo ancora le alzatacce alle 4 del mattino, l’unico momento buono per inserire sulla piattaforma le informazioni tratte dalle centinaia di documenti richiesti per partecipare al concorso.3
Negli ultimi anni la piattaforma web è migliorata moltissimo e rappresenta ormai un archivio molto dettagliato dei documenti già presentati dai miei colleghi e da me ai vari concorsi a cui abbiamo partecipato nel frattempo. Un archivio che potrebbe essere molto utile per semplificare la partecipazione ai nuovi concorsi istituiti dal CNR.
E invece cosa pensano i soloni che ci governano e che, un pezzo dopo l’altro, stanno smontando quello che era uno dei migliori enti di ricerca multidisciplinari del mondo? Di abolire per questo concorso agostano la piattaforma web e di richiedere invece la compilazione di un modello di documento in Word (lo trovate in miniatura anche qui sotto), nel quale inserire tutte le migliaia di informazioni che costituiscono il cosiddetto curriculum professionale di ciascun partecipante al concorso. Aggiungendo danno al danno, i soloni suddetti non prevedono alcuno strumento per esportare le informazioni già inserite nella piattaforma online, costringendoci di fatto a ricominciare tutto da zero.
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Il curriculum professionale è solo un lontano parente del normale curriculum vitae (CV), nel quale si condensano anni ed anni di lavoro in poche pagine leggibili. Qui si tratta invece di un dettagliatissimo e minuziosissimo elenco di tutto ciò che costituisce l’attività scientifica di un ricercatore: gli articoli pubblicati sulle riviste scientifiche o sugli atti delle conferenze, i libri o i capitoli di libri, i software sviluppati, i brevetti, i progetti, le attività di docenza, la partecipazione a commissioni tecnico-scientifiche e molto altro.4 Sono i cosiddetti titoli, ciascuno dei quali va inserito nel curriculum professionale in base alla sua fattispecie (un termine di estrazione giuridica che in questo contesto è improprio e che nel seguito sostituirò con tipologia).
Inserire un nuovo Prodotto della Ricerca nell’orribile modello Word fornito dall’amministrazione non è uno scherzo: si deve selezionare la tipologia (o se preferite la fattispecie) giusta, duplicare la tabella originale vuota relativa alla tipologia scelta oppure una tabella già compilata, e infine (si fa per dire) inserire una ad una con molta pazienza le informazioni richieste. Alcune sono ovvie, come il titolo e gli autori di un lavoro scientifico. Altre sono piuttosto complicate da reperire, come l’indice di classificazione della rivista e il famigerato impact factor,5 informazioni che bisogna cercare consultando i siti web delle riviste oppure degli appositi database online, alcuni aperti a tutti, altri proprietari e a pagamento (sono carissimi, ma per queste inutili sciocchezze il CNR è sempre pronto a sprecare soldi). Infine ci sono le informazioni di cui non si capisce bene il senso, come il codice identificativo della rivista (ISSN) o peggio ancora il campo Altre informazioni, nel quale ognuno mette quello che gli pare.
E tutto ciò va fatto per ogni singolo Prodotto della Ricerca. I ricercatori più anziani come me, con una carriera ormai più che trentennale alle spalle e centinaia di prodotti della ricerca, partendo da zero hanno bisogno di parecchi giorni per inserire tutti questi titoli.
Ma questa è solo la prima parte della storia, quella che riguarda la produzione scientifica vera e propria e che va sotto l’ombrello di Categoria A. La seconda parte del modello Word se vogliamo è molto, molto peggio. Si tratta della Categoria B, quella che raccoglie tutte la attività di contorno alla ricerca vera e propria, le attività didattiche, quelle di diffusione della cultura scientifica, i premi, le partecipazioni ad organismi tecnici o scientifici, le responsabilità varie e soprattutto le partecipazioni ai progetti di ricerca.
Che è ciò che interessa davvero alla nostra amministrazione.
Perché i progetti di ricerca portano soldi, tanti soldi. I soldi che lo Stato non da più (il finanziamento ordinario copre ormai solo gli stipendi dei dipendenti), per cui se vuoi fare qualcosa devi partecipare a dei progetti di ricerca. Non importa quali, non importa se sono attinenti o no al tuo filone scientifico, non importa se sono davvero utili al progresso scientifico, o perlomeno alla società. L’unica cosa davvero importante è che i progetti portino soldi, perché sono quelli che fanno andare avanti la baracca. Nonché, attraverso rapine sempre più pesanti ai finanziamenti faticosamente acquisiti (preparare un progetto di ricerca è una faticaccia), permettono alla sede amministrativa centrale di prosperare alla grande, senza mai dare nessun supporto a questa faticosa attività di autofinanziamento.
Ormai sei un bravo scienziato se riesci ad acquisire finanziamenti, altrimenti sei uno sfigato qualunque. Potrai anche avere titoli scientifici inappuntabili, ma se non porti soldi puoi sognarti di vincere un concorso al CNR. Lo pensa l’amministrazione, ma lo pensano (purtroppo!) anche tanti colleghi rampanti, quelli che pesano le persone in base al denaro che hanno saputo conquistarsi, e che avrebbero fatto meglio a fare i broker piuttosto che i ricercatori.
Non a caso sono proprio i progetti a fare la parte del leone nella Categoria B del curriculum professionale. I progetti riguardano le prime due fattispecie della Categoria B e la varietà e quantità di informazioni richiesta è decisamente maggiore rispetto a tutte le altre tipologie: da dove sono arrivati i soldi, quanto ha introitato il progetto complessivo, quanto ha introitato il gruppo del CNR (Unità Operativa) di cui fa parte il candidato, quali erano gli obiettivi del progetto, quali risultati ha ottenuto, quanto è durato. E per come sono strutturati i progetti di ricerca, queste informazioni sono sparse su molteplici documenti, da cercare uno ad uno sul proprio computer o magari sulle copie cartacee di venti-trent’anni fa (per quei fortunati o previdenti che le hanno conservate), per cui compilare la tabella di un singolo progetto di ricerca può richiedere ore di lavoro. Un vero incubo!
Ma c’è una cosa che accomuna tutta la Categoria B del curriculum professionale. La richiesta ossessiva di pezze d’appoggio per qualunque cosa si sia fatta nella propria vita professionale: numeri di protocollo, delibere, decreti, provvedimenti.
Una richiesta ragionevole per le attività più importanti, come ad esempio gli insegnamenti universitari, che devono necessariamente essere autorizzati con apposite delibere. Molto meno ragionevole per altre attività normalissime per un ricercatore, come far parte del comitato organizzatore di una conferenza o di qualche commissione tecnico-scientifica, incarichi che vengono assegnati quasi sempre con una semplice email o che compaiono solo su un sito web che spesso viene disattivato al termine della conferenza.6
Come ha scritto benissimo un collega, “È stato davvero penoso vedere persone di valore doversi instupidire nella rincorsa del numero di protocollo, del quartile più alto, della dichiarazione del direttore o del responsabile del progetto, del link che non c’è più, e nel mentre erano costantemente infastidite da notizie che continuavano a ribaltare le modalità di compilazione di schede inutilmente minuziose: il numero progressivo, le fattispecie, le annualità. Un vilipendio di energie intellettuali, uno spreco di tempo e denaro, un alt irragionevole e su tutta la linea alle attività di ricerca, un’efficace distrazione da altri temi importanti legati al futuro della ricerca e del suo esercizio (es. PNR). Impegno per altro richiesto e pilotato con un bando uscito a ridosso della chiusura estiva imposta dall’Ente, tale da fagocitarsi una buona parte delle ferie”.
Non potrei essere più d’accordo.
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Alzi la mano chi se li ricorda. Giochi senza frontiere sono stati per tantissimi anni il gioco dell’estate per eccellenza, quello in cui concorrenti provenienti da ogni angolo dell’Europa si affrontavano in gare improbabili nelle quali dovevano evitare di essere travolti da una valanga mentre sciavano sulla sabbia, tirare via l’acqua di un lago con un bicchiere attaccato ad una canna da pesca o cercare di rimanere in equilibrio su una enorme palla di polistirolo. L’inventore di queste prove era un vero genio dell’assurdo. La dirigenza del CNR cerca continuamente di copiare da lui, ma non ha la stessa stoffa. ↩
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I tecnologi del CNR sono una figura professionale anomale. In teoria dovrebbero essere coloro che gestiscono i grossi laboratori sperimentali, le infrastrutture di rete e così via. In pratica ormai, per ragioni troppo complesse da spiegare qui, una gran parte di tecnologi svolge compiti di tipo amministrativo, snaturando di fatto il ruolo. Per questo motivo, quando nel seguito parlerò dei ricercatori, mi riferirò sempre anche ai (pochi) tecnologi ancora degni di questo nome. ↩
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Ci sono voluti due o tre anni per concludere l’iter di quel concorso, che naturalmente non ho vinto, anche se in una delle due graduatorie mi sono classificato piuttosto bene. La graduatoria era quella meno attinente al mio percorso professionale, ma queste sono le stranezze della burocrazia italiana, accoppiate alla, diciamo così, ostilità di uno dei commissari dell’altra graduatoria. ↩
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Si può diventare direttore di un Istituto del CNR, direttore di Dipartimento e perfino Direttore Generale presentando un normalissimo curriculum vitae di 10-20 pagine, ma non ne bastano 200 per partecipare ad un concorso da dirigente di ricerca. ↩
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La discussione di cos’è l’impact factor e perché lo definisco famigerato porterebbe troppo lontano dal nucleo principale dell’articolo. ↩
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Più di una volta ho dovuto ricorrere al beneamato Internet Archive per cercare di reperire queste informazioni. ↩