Qualche veloce considerazione sull’ultima parte del Keynote di ieri, con l’annuncio del passaggio dei Mac ai processori Apple Silicon basati su ARM. Sono solo delle note sparse, buttate giù durante la presentazione per focalizzare meglio quello che veniva annunciato. Nei prossimi mesi non mancheranno le occasioni per approfondire il significato di questa ennesima transizione compiuta da Apple.
-
Confermato, proprio alla fine del Keynote, il passaggio dei computer Macintosh ai nuovi processori basati su architettura ARM, la stessa utilizzata negli iPhone e negli iPad. Con il solito genio del marketing i nuovi processori vengono denominati Apple Silicon, un nome decisamente più accattivante della sigla A12Z usata dai tecnici.
-
Tim Cook afferma subito che Apple ha lavorato insieme agli amici della Microsoft per portare da subito la suite Office sulla nuova piattaforma. I tempi sono decisamente cambiati e la Microsoft, almeno a parole, non è più il nemico giurato di Apple.
-
C’è un po’ troppa enfasi nel mettere in evidenza la fluidità dei nuovi processori targati Apple nel gestire le applicazioni che gli vengono date in pasto. Mi fa venire più di un dubbio. Perché una cosa è vedere che un Mac Pro con processore Apple Silicon è in grado di gestire velocemente un documento Word di una pagina, un’altra è verificare cosa succede quando il gioco si fa duro e bisogna lavorare su file di grosse dimensioni. Capisco che nel corso di un Keynote sia più importante l’aspetto scenografico di quello tecnico, ma ci vorranno parecchie prove più approfondite per valutare la velocità dei nuovi processori in scenari realistici.
-
Come era prevedibile quelli di Apple hanno ritirato fuori dal cilindro le due vecchie tecnologie usate nel corso dell’ultima transizione dai processori PowerPC ad Intel, e cioè Universal e Rosetta. Con la prima si può fare in modo che un programma contenga sia il codice binario dei processori Intel che di quelli Apple Silicon, e possa quindi girare indifferentemente sia sui Mac di oggi che sui nuovi modelli con processore Apple. Per uno sviluppatore è molto facile realizzare questa specie di magia, basta solo ricompilare il programma con le opzioni giuste. Non dovrebbero esserci problemi. Rosetta invece è un sistema di virtualizzazione che traduce il codice binario per i processori Intel in quello tipico dei processori Apple. La prima versione di Rosetta, quella usata per gestire il passaggio da PowerPC ad Intel, funzionava ma era piuttosto lenta, vedremo cosa succederà con questa nuova versione. Di certo non è una cosa facile, non a caso questa volta la traduzione sarà eseguita (se possibile) al momento dell’installazione del programma e non al volo, ogni volta che lo si lancia. Vedremo.
-
In parallelo a Rosetta (o inglobato in questa?) ci sarà un sistema di virtualizzazione in grado di far girare sui nuovi Mac con processore Apple anche Linux e chissà, forse anche Windows e le versioni precedenti di macOS. L’impressione è che Apple abbia fatto un accordo con Parallels per lo sviluppo di questo sistema di virtualizzazione. Sembra una copia del sistema analogo presente in Windows 10. Non c’è niente di male a riprendere le idee buone della concorrenza, bisogna vedere come vengono implementate.
-
Una cosa molto interessante dei nuovi processori è la possibilità di far girare nativamente le applicazioni per iPhone e iPad. Mi chiedo solo che fine abbia fatto la tecnologia Marzipan (o Catalyst), e quanto abbia contribuito a porre le basi di questa nuova funzionalità.
-
È disponibile da subito per gli sviluppatori il Developer Transition Kit (DTK), un Mac Mini con processore A12Z. Sarebbe bello riuscire ad averne uno, costa solo 500 dollari, ma purtroppo va restituito ad Apple alla fine del periodo di transizione. Niente da fare, io non ci riuscirei mai.
-
Apple prevede di concludere la transizione ai nuovi processori in soli due anni, ma intanto continuerà a produrre nuovi Mac basati su Intel. Mi chiedo quanto possa essere saggio acquistare questi modelli destinati a diventare obsoleti in breve tempo. L’ultima transizione da PowerPC ad Intel danneggiò parecchio chi aveva (incautamente) acquistato gli ultimi Mac con PowerPC.
-
Infine, ma non meno importante, questo segna la fine degli Hackintosh, i comuni PC su cui si può far girare macOS. Di certo Apple non ha deciso di passare ai suoi processori per contrastare questo fenomeno, che è e rimane una piccolissima nicchia di mercato. Però è un peccato che venga a cadere una alternativa così interessante per tanti smanettoni del computer.
P.S. Dimenticavo, il nuovo macOS si chiama Big Sur, la località preferita dagli esponenti della controcultura degli anni ‘60. Forse Apple vuole sottintendere che abbandonare i processori Intel equivale a rompere con gli schemi culturali dominanti?