– Fonte: Edwin Hooper su Unsplash.
L’epidemia di coronavirus ha stravolto le nostre vite, costringendoci a tapparci in casa in attesa di tempi migliori. Da più di un mese le giornate sono scandite dalle conferenze stampa delle 18, veri e propri bollettini di guerra, con i numeri dei nuovi ricoverati, dei guariti e, purtroppo, dei troppi morti.
Ormai non si riesce più a parlare d’altro, sembra di essere in uno stato di animazione sospesa, di vivere al rallentatore in attesa di sapere se e quando questa tragedia finirà.
Anch’io non ho molta voglia di parlare d’altro. Non è che non ci abbia provato, di spunti ne ho fin troppi, ma ogni volta che mi metto al computer e provo a scrivere mi passa la voglia, mi sembra tutto troppo frivolo o poco appropriato.
E allora non è meglio togliersi il dente e decidersi ad affrontare l’argomento del giorno? Entro certi limiti. Non sono un virologo e non mi passa per l’anticamera del cervello atteggiarmi ad esperto di questo settore, come sembrano fare tanti frequentatori dei social. Per cui niente fatti del giorno, ipotesi fantasiose, cure mirabolanti, fake news ripetute allo sfinimento tanto a renderle quasi credibili.
Mi limiterò a guardare i dati e cercare di trarre qualche conclusione oppure a proporre qualche lettura che mi pare particolarmente interessante. E magari anche a presentare qualche strumento con cui sto provando ad affrontare al meglio questo lungo periodo di lavoro e di vita online.
Da dove cominciamo? Dai dati, dai numeri nudi e crudi, che sono in fondo le cose con le quali dovrei avere più dimestichezza.
Sin dai primi giorni della crisi, quando si credeva che il coronavirus fosse un problema esclusivamente cinese, la fonte di informazione con i dati globali più aggiornati e attendibili è stata la dashboard interattiva della Johns Hopkins University (in italiano si dovrebbe dire “cruscotto”, ma per favore lasciatemi usare il termine originale), che riceve un miliardo di accessi al giorno ma che è stata messa su in una giornata da un giovane laureato in Ingegneria Civile di origine cinese. Il gruppo aveva già sviluppato uno strumento simile per studiare la diffusione del morbillo, ma di sicuro quello che sono riusciti a fare dall’oggi al domani è semplicemente straordinario. Tutti i dati su cui si basa la dashboard sono facilmente scaricabili da GitHub, a disposizione di chi volesse analizzarli con i propri strumenti.
La Protezione Civile italiana ha messo online una dashboard molto simile, adattata alla realtà italiana. La grafica è la stessa, la fruibilità purtroppo un po’ meno. Ma quello che come al solito manca quando si ha a che fare con le realtà italiane (istituzionali e non) è la facilità di accesso ai dati:1 le schede riepilogative giornaliere sono in pdf (che in questo caso specifico sembra archeologia informatica) e ci sono serie di dati separate per le province e le regioni, oltre che per l’intera nazione, mentre sarebbe molto più produttivo lavorare sui dati disaggregati (presentati cioè al livello più basso possibile, che per l’Italia potrebbe essere il comune, il CAP o in questo caso particolare l’ASL), da aggregare in un secondo momento in base al livello di dettaglio desiderato.
Altra dashboard interessante ma piuttosto complessa da utilizzare (oltre che estremamente lenta) è quella dell’European Centre for Disease Prevention and Control.
Molto più pratici sono il COVID-19 Tracker di Microsoft (bisogna ammettere che questa volta Microsoft ha messo su uno strumento molto ben fatto e facile da usare) e la dashboard di Edward Parker, sviluppata con Shiny (un package aggiuntivo di R che permette di costruire con facilità delle applicazioni web interattive). Di quest’ultima trovo particolarmente interessanti i grafici a livello regionale (Region Plots), dove è possibile selezionare con molta facilità un gran numero di visualizzazioni diverse, nonché la possibilità di confrontare i dati di questa pandemia con quelli di altre epidemie recenti come la SARS, l’influenza suina ed Ebola.
Grafico tratto dalla dashboard di Edward Parker, che mostra l’andamento nel tempo dell’infezione da COVID-19 per i principali paesi europei e per gli USA. Il tempo iniziale di ciascun grafico corrisponde con il giorno in cui si è verificato il 100-esimo caso confermato di infezione. Questa rappresentazione mostra che la velocità di diffusione dell’epidemia è identica in Italia, Germania e Francia, mentre Spagna e UK sono caratterizzata da una velocità di diffusione rispettivamente maggiore e minore (ma la velocità dell’UK tende ad avvicinare quella dei primi tre paesi). Gli USA fanno decisamente storia a sé.
Un’altra dashboard, quella di Weather.com sviluppata in collaborazione con IBM, sarebbe forse lo strumento più interessante in assoluto (e nei primi giorni lo era), ma ora è diventata così lenta e piena di errori da essere inusabile.
La pagina dedicata al COVID-19 di Our World in Data è molto più classica ma, anche se meno immediatamente fruibile di una dashboard, permette di visualizzare e analizzare i dati in un numero enorme di modi diversi. Da non perdere.
Semplicemente eccezionale, ma limitata ai soli Stati Uniti, è la mappa interattiva del New York Times, i cui dati sono verificati uno ad uno da un team di giornalisti del New York Times. I dati originali usati per preparare la mappa si trovano come al solito su GitHub e, analogamente all’Italia, sono aggregati a livello di contea e di stato. Ma se si tiene conto delle dimensioni e della maggiore omogeneità degli USA, l’aggregazione per contea, pur se non ideale, contiene già un buon livello di dettaglio, diciamo quasi come per noi quella a livello di comune.
Per finire torniamo alla situazione italiana, così come la presenta la pagina dedicata di Repubblica. Rispetto agli strumenti visti finora non è niente di particolarmente innovativo, ma i dati a livello regionale sono molto interessanti e sono presentati in modo graficamente ineccepibile. Peccato solo che la lettura delle scale dei grafici non sia così immediata come dovrebbe.
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Un problema serio appena trattato persino dal Sole 24 Ore, del quale varrebbe la pena discutere più in dettaglio anche qui, prima o poi. ↩