Jonathan “Jony” Ive dopo trent’anni abbandona la Apple per fondare una sua azienda, LoveFrom, che avrà la Apple come prima cliente. La notizia ha riempito per giorni le gazzette tecnologiche (e non) di tutto il mondo (come si può leggere ad esempio qui, qui e qui) e quasi tutti i commentatori, una volta superata la sorpresa dell’annuncio, si sono augurati che la collaborazione fra il cavaliere inglese1 e la casa madre californiana potesse continuare esattamente come prima.
So di dire una cosa impopolare, ma secondo me sarebbe un male. Jony Ive stava esagerando.
Jony Ive è (è stato?) un grande designer e nel corso della sua lunga carriera ha fatto cose egregie – penso ai vari iMac, dal G3 della rinascita al G4 a lampada al G5 tutto-in-uno, penso all’iPod, all’iPhone, ad iOS 7 – ma come tutte le archi-star a un certo punto si è fatto prendere la mano adottando un’estetica anoressica che anteponeva il design alla funzionalità. Tutto troppo sottile e minimalista, accessibilità e riparabilità zero.
E sono venuti il MacBook Pro ipersottile, esteticamente perfetto ma tecnicamente incomprensibile, il portatile che obbliga a portarsi dietro una pletora di accessori anche solo per poter collegare una volgare chiavetta USB. O l’orrida tastiera a “farfalla”, i cui tasti hanno la corsa di un pezzo di vetro e vengono mandati in crisi da un granello di polvere, costringendo a cambiare tutta la parte superiore del portatile (e a volte anche l’intero computer!) per un solo tasto malfunzionante.
Oppure gli AirPods che quando si esaurisce la batteria, due anni ad essere fortunati, vanno buttati via perché nessuno, nemmeno Apple, può sostituirla senza distruggerli. O gli iMac, i Mac Mini e gli Air con la RAM saldata e non aggiornabile, quello che scegli al momento dell’acquisto te lo tieni per sempre.2
Ma possiamo dimenticare il fiasco più clamoroso di tutti, il Mac Pro buono da tempo solo come (costosissimo) cestino dei rifiuti? Il computer professionale tanto minimale che per essere usato veramente ha bisogno di un sacco di accessori esterni, tutti collegati precariamente via cavo. Il computer professionale ma non aggiornabile (infatti è ancora fermo al 2013), un vero controsenso per chi vorrebbe preservare nel tempo il pesante investimento economico richiesto. Il computer professionale che scalda, scalda dannatamente troppo per essere adatto ai compiti pesanti a cui dovrebbe essere destinato. Colpa degli ingegneri che non sanno fare i calcoli termici o del designer per il quale la funzione reale del computer che progetta conta poco o niente?
Sarà solo un caso che nel Mac Mini ultima versione Apple offra di nuovo la possibilità di aggiornare facilmente al RAM? O che il nuovo Mac Pro sia tornato al design precedente, un grosso case metallico e bucherellato per dissipare meglio il calore, apribile con facilità e con tanto spazio per aggiungere dischi, RAM e schede di interfaccia? O che la tastiera dei prossimi MacBook Pro sarà modificata per l’ennesima volta in tre anni?
Forse Tim Cook e il consiglio di amministrazione della Apple hanno concluso che Jony Ive aveva tirato troppo la corda ed hanno deciso di farlo finalmente fuori, altro che separazione consensuale.
Era ora. Noi utenti Apple ci meritiamo di meglio.
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Jony Ive è stato nominato Sir nel 2012. ↩
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Un vero assurdo tecnico: la quantità di RAM necessaria a far funzionare al meglio un computer aumenta nel tempo con l’evoluzione del sistema operativo e delle applicazioni. Aggiornare la RAM è una delle operazioni più efficaci per allungare, e di molto, la vita di un qualunque computer. ↩