Non voglio entrare a gamba tesa in tutti i disastri degli ultimi giorni, ma leggere della sciagura avvenuta sul Pollino mi ha fatto tornare in mente una esperienza recente legata proprio alla Calabria.
Da qualche anno mi occupo fra le altre cose di monitoraggio ambientale, in particolare di ottimizzazione delle reti di monitoraggio e di analisi dei dati provenienti dai sensori di misura.
Più o meno un anno fa sono stato coinvolto in un progetto di studio dei dati di una rete di monitoraggio operante nella provincia di Cosenza e dintorni. L’idea si è arenata quasi subito per problemi di condivisione dei dati con degli esterni come noi, come se questi dati fossero una “proprietà esclusiva” degli enti – comuni, province, regioni, arpa, protezione civile – che li avevano prodotti. Purtroppo in Italia la ritrosia a condividere le informazioni è molto diffusa a tutti i livelli, anche quando queste informazioni sono prodotte con fondi pubblici (quindi con le nostre tasse).
La rete di monitoraggio era molto interessante: era costituita da una serie di sensori per misurare le deformazioni del terreno, l’apertura di fratture e crepe, lo spostamento di punti fissi del terreno e altri segni premonitori delle frane. In questo modo era possibile individuare la posizione delle superfici di instabilità dei pendii e intervenire preventivamente per limitare i danni nonché, nei casi più a rischio, allertare le strutture di soccorso e la popolazione coinvolta.
La rete era stata costruita con i finanziamenti di qualche progetto di ricerca – comunitario, nazionale, regionale, ce ne sono una caterva – e finché il progetto è stato operativo tutto ha funzionato bene. I sensori erano stati installati e funzionavano regolarmente. I dati venivano trasmessi ai comuni coinvolti e messi online in modo da avere un quadro più generale, anche se l’accesso era riservato ai soli partecipanti al progetto. Il progetto aveva anche previsto l’assunzione (a tempo determinato, c’è bisogno di dirlo?) di uno o due tecnici che giravano periodicamente fra i vari siti della rete per controllare che tutto funzionasse a dovere e per effettuare gli eventuali interventi di manutenzione.
Ma dopo due, tre anni il progetto è terminato e, quel che è più grave, sono finiti i soldi del finanziamento. In un paese normale ci si aspetterebbe che, dopo aver messo su un sistema di allerta così utile per un territorio a rischio come quello di cui stiamo parlando, le istituzioni coinvolte avrebbero fatto di tutto per portare avanti il progetto. Del resto, una volta installati i sensori e sviluppato il software di monitoraggio, bastavano pochi soldi per la manutenzione delle rete e per gli stipendi dei tecnici che effettuavano i controlli, cifre comunque irrilevanti rispetto ai costi di una eventuale emergenza.
Ma non siamo un paese normale. I soldi non sono arrivati e a poco a poco, senza controlli e senza manutenzione, la rete messa su con tanta fatica e con tanto impegno ha smesso di funzionare. In questo momento perfino il sito del progetto è offline. Soldi buttati. E quel che è peggio, per risparmiare qualche spicciolo si è buttato via uno strumento che, nel caso non improbabile di eventi distruttivi, potrebbe evitare vittime, danni materiali e costi ben maggiori di ricostruzione.
A quanto sembra la sciagura sul Pollino ha origini analoghe: una rete di misura delle piogge installata ma non più funzionante in modo adeguato, per scarsa manutenzione e per mancanza di personale tecnico all’altezza del compito.1 Tante vite perse perché in questo paese non si riesce a capire che prevenire i rischi può non solo salvare tante vite umane, ma può anche costare infinitamente meno che intervenire scompostamente a posteriori, quando la sciagura si è consumata.2
Perché ai nostri politici e amministratori piace da matti farsi fotografare mentre tagliano i nastri delle inaugurazioni, se poi queste si risolvono o no in qualcosa di ben fatto e funzionante gli interessa pochissimo. Ancor meno gli interessa la manutenzione dell’esistente, perché secondo costoro non porta notorietà e voti. Poi, quando avviene la tragedia, tutti a piangere lacrime di coccodrillo e a scaricare le responsabilità su qualcun altro.
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Se non riuscite ad aprire la pagina, ecco qui uno screenshot del titolo dell’articolo. Anche questo articolo pone più o meno le stesse domande di Repubblica. ↩
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Ma come dimostrano certe intercettazioni ai tempi del sisma dell’Aquila, alcuni personaggi senza scrupoli preferiscono che sia così. ↩