– Nanoscale-Ordered Materials Diffractometer (NOMAD), Oak Ridge National Laboratory, USA.
Gli articoli scientifici, ammettiamolo, possono anche essere molto interessanti, ma raramente riescono a catturare l’attenzione di chi li legge più di un giallo ben congegnato.
È proprio quello che mi è successo mentre leggevo The development of powder profile refinement at the Reactor Centre Netherlands at Petten di Bob van Laar e Henk Schenk, appena pubblicato su Acta Crystallographica Section A, la più importante rivista scientifica di cristallografia (l’articolo può essere letto o scaricato da qui).
L’articolo di van Laar e Schenk vuole fare chiarezza sulle vere origini di uno dei metodi di calcolo più usati e celebrati della cristallografia, il cosidetto metodo Rietveld, uno degli strumenti principali per la determinazione accurata della struttura cristallina di un materiale a partire da misure di diffrazione a raggi X o a neutroni.1
L’importanza del metodo è data dal fatto che la maggior parte dei materiali di interesse pratico cresce solo sotto forma di cristalli di dimensioni così piccole, vere e proprie polveri cristalline, da non poter essere analizzate mediante le normali tecniche di diffrazione per cristallo singolo, che richiedono cristalli di almeno alcune decine di micrometri per lato. D’altra parte, le polveri cristalline producono uno spettro di diffrazione con picchi fortemente sovrapposti, un cosa che complica moltissimo la determinazione della struttura cristallina del materiale. Il metodo Rietveld riesce a separare virtualmente (o meglio matematicamente) questi picchi, consentendo di calcolare in modo completo ed accurato la struttura del cristallo sotto esame. Ancora più importante dal punto di vista pratico è il fatto che il metodo Rietveld consente anche di individuare rapidamente le componenti presenti in una miscela di prodotti chimici e viene utilizzato non solo in un grandissimo numero di processi industriali, ma anche in settori apparentemente molto lontani come l’arte, l’archeologia o le scienze forensi.
Insomma, Hugo Rietveld, lo scienziato olandese che ha ideato e messo a punto una tecnica così utile, merita senz’altro gli apprezzamenti e gli onori (tanti!) che gli sono stati attribuiti.
Ma a leggere l’articolo di van Laar e Schenk sembra che non sia proprio così.
Anzi, i due autori lo accusano senza mezzi termini di essersi impossessato di idee ed informazioni sviluppate da Brett Loopstra (deceduto nel 1998) e dallo stesso Bob van Laar, uno dei due autori dell’articolo in questione.
La storia è più o meno questa. All’inizio degli anni ‘60 Brett Loopstra e Bob van Laar iniziano a lavorare presso un nuovo centro di ricerca in fisica nucleare, l’RCN di Petten in Olanda, occupandosi di diffrazione da neutroni. I due collaborano alla costruzione di un nuovo strumento di misura, un diffrattometro a neutroni per polveri cristalline, che utilizzano per la determinazione della struttura di materiali a base di uranio o con caratteristiche magnetiche.
Questa attività li porta a comprendere che il motivo principale che impedisce la corretta determinazione della struttura cristallina dei materiali di cui si occupano risiede proprio nel fatto che i picchi degli spettri di diffrazione misurati sono tanto sovrapposti da rendere difficile stimare l’ampiezza di ciascuno di essi. E anche se conoscono bene, van Laar in particolare, le tecniche matematiche che possono essere usate per separarli, non hanno le competenze tecniche per scrivere un programma per i rudimentali computer dell’epoca che possa effettuare i calcoli di cui hanno bisogno.
A un certo punto al gruppo si aggiunge un terzo ricercatore, Hugo Rietveld, nato in Olanda ma che aveva vissuto a lungo in Australia. Sembra l’occasione giusta, perché anche se Rietveld non sa nulla di cristallografia per polveri, è un vero esperto nella programmazione dei computer. I due lo mettono a parte delle loro idee e in poco tempo Rietveld scrive un programma che le implementa, descrivendo le basi del suo funzionamento in un brevissimo articolo (appena due pagine) pubblicato solo a suo nome nel 1967. La nuova tecnica di calcolo viene presentata in modo più ampio in un articolo successivo, scritto in collaborazione da Loopstra e Rietveld e pubblicato nel 1969, che però passa praticamente inosservato.
Non passa inosservato, invece, un altro articolo dello stesso anno a firma del solo Rietveld, che descrive il programma di calcolo e le sue basi matematiche, esattamente come gli erano state spiegate da Loopstra e van Laar. Ci vuole un po’, è vero, ma fra gli anni ‘70 e ‘80 questo articolo diventa il lavoro fondamentale della cristallografia per polveri cristalline, citato e ricitato da chiunque si occupi di questo tema di ricerca. Fino ad oggi l’articolo di Rietveld ha ricevuto quasi 14.000 citazioni, un numero enorme se si tiene conto del fatto che la diffrazione per polveri è tutto sommato un settore di ricerca relativaemnte di nicchia.
Perché Rietveld fa una cosa così scorretta? Perché non riconosce il contributo fondamentale dei due colleghi? Perché non li invita a firmare l’articolo insieme a lui, ma si limita solo a ringraziarli, in due brevissime righe, per avergli fornito degli utili suggerimenti (e critiche)?
Le conseguenze sono inevitabili: i due colleghi si sentono traditi, l’aria nel laboratorio diventa sempre più tesa e Rietveld decide di lasciare la ricerca e di passare ad occuparsi della biblioteca dell’RCN, cosa che farà fino al momento di andare in pensione.
È possibile, come ipotizzano con eleganza gli stessi van Laar e Schenk, che Rietveld all’inizio sottovaluti l’importanza del lavoro e le conseguenze che avrà nel suo settore di ricerca. Però è altrettanto vero che quando il suo articolo diventa una pietra miliare della cristallografia non fa nulla per correggere l’eventuale errore iniziale.
Anzi, con il passare degli anni, diventato famoso nonostante non faccia più ricerca attiva, rimarca sempre di più di aver fatto tutto il lavoro da solo. Arriva persino a modificare il testo di un breve capitolo di un libro di divulgazione scientifica, rimuovendo ogni menzione del contributo dato dai suoi due ex-colleghi allo sviluppo del metodo che porta il suo nome. E fino alla morte, avvenuta nel 2016, cerca strenuamente di impedire la pubblicazione di qualunque articolo che cerchi di fare chiarezza sulla vicenda.
Totò aveva ragione, signori si nasce.
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Determinare la struttura cristallina di un materiale significa calcolare la posizione relativa degli atomi che lo costituiscono all’interno della cella elementare che, ripetuta un enorme numero di volte nello spazio, compone il cristallo stesso. ↩