Cray. Oggi non se lo ricorda quasi nessuno (o magari pensa ad un supermercato), ma negli anni ‘70 e ‘80 Cray era sinonimo di supercomputer, quei computer potentissimi e inaccessibili usati per la ricerca nucleare o spaziale o per prevedere il tempo.
Il Cray-1 esposto al Deutsches Museum di Monaco, presumibilmente l’unità appartenuta al Max Planck Institute di Garching, Monaco.
Per tutta la seconda metà degli anni ‘70 non esisteva nessun computer più potente del Cray-1, un bestione di due metri da 10 milioni di dollari (di allora, oggi corrispondono a più o meno il doppio), costruito in modo quasi artigianale. Il primo computer ad usare i circuiti integrati – solo quattro tipi diversi – distribuiti su centinaia e centinaia di schede elettroniche strettamente accoppiate, che producevano tanto calore da dover essere raffreddate con un sistema speciale a base di freon.
Schede elettroniche modulari del Cray-1.
Il Cray-1 era composto da 12 colonne a forma di cuneo con la punta tagliata, che formavano un arco di 270°. Visto da sopra ricordava la lettera “C” di Cray. Ma la forma aveva una funzione precisa: minimizzare la lunghezza dei collegamenti fra le schede elettroniche che componevano l’intero computer, ciascuno dei quali non dovevano superare i 120 centimetri per non rallentare inutilmente la macchina. C’erano migliaia di coppie intrecciate di cavi bianchi e azzurri, per un totale più di 100 chilometri di cavo, a formare un groviglio che sembrava inestricabile.
Groviglio di cavi nella zona centrale del Cray-1.
Per gli standard di allora il Cray-1 era veloce, anzi velocissimo: 138 MFLOPS (cioè milioni di operazioni in virgola mobile al secondo) continuativi e 250 MFLOPS, quasi il doppio, per brevi periodi di tempo, circa 5 volte meglio del miglior computer dell’epoca, il CDC 7600. E tutto ciò nonostante le due ore giornaliere di fermo macchina necessarie per le operazioni di manutenzione preventiva.
Il Cray-1 era costruito apposta per fare calcoli o macinare i numeri (number crunching), come si usava dire allora, preferibilmente lavorando in parallelo sui cosiddetti vettori, strutture matematiche formate da numeri dello stesso tipo organizzati in righe o colonne. Il suo compilatore trasformava il normale codice FORTRAN in istruzioni specifiche per l’hardware della macchina, e i risultati dei calcoli venivano usati immediatamente per le elaborazioni successive, senza passare dalla memoria. Il concetto di chaining (o pipelining) diventerà comune solo decine di anni dopo.
Il Cray-1 era super anche per il resto delle sue caratteristiche hardware: 8 MB di memoria RAM e una frequenza di clock di 80 MHz, numeri astronomici per l’epoca (tanto per mettere le cose in prospettiva, il primo modello di Apple II del 1977 aveva una frequenza di clock di 1 MHz, una memoria massima di 48 kB e costava 2500 dollari; se avesse avuto le stesse specifiche hardware dal CRAY-1 sarebbe dovuto costare più di 30 milioni di dollari).
Per chi come me si è appassionato di computer alla fine degli anni ‘70, il Cray-1 era un mito irraggiungibile. Riservato solo a pochissimi scienziati, agli altri toccavano le schede perforate o, al massimo, il VAX.
Pochi giorni fa ho avuto la fortuna di vederne uno dal vivo, al Deutsches Museum di Monaco, uno dei principali musei della scienza e della tecnica del mondo (se passate da Monaco una visita al Deutsches Museum è d’obbligo). Era chiaramente il re della sezione, piazzato proprio al centro della stanza, ben in vista e ben illuminato. Ancora bellissimo, con il suo look inconfondibilmente anni ‘70.
Peccato solo non aver potuto condividere l’emozione con nessun altro, nemmeno con mia moglie, che pazientemente ha voluto accompagnarmi a visitare un settore del museo per lei assolutamente alieno.
(continua…)