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Sergente Pepper, nuova vita a 50 anni

Sabino Maggi Sabino Maggi Segui 28-May-2017 · 2 minuti di lettura
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Quanti sono i brani musicali o gli album che hanno rappresentato un punto di svolta nella storia della musica? L’Arte della Fuga e il Clavicembalo ben Temperato di Bach, la Sagra della Primavera di Stravinskij, Ascension di John Coltrane, Bitches Brew di Miles Davis, tanto per citarne alcuni.

E poi c’è Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, uscito esattamente 50 anni fa nell’Inghilterra gioiosa e progressiva degli anni ‘60, così magnificamente rappresentata da Michelangelo Antonioni in Blow-Up.

Molto interessante il racconto della riedizione critica dell’album, eseguita da Giles Martin, il figlio del mitico George Martin, produttore di tutti gli album dei Beatles e riconosciuto come il vero e proprio “quinto Beatle”.1

Giles Martin è partito dai nastri originali da 1 pollice a 4 tracce registrati su una Studer J37, ritrovati nei sotterranei dello studio di Abbey Road, e li ha rimasterizzati usando le tecnologie moderne ma cercando di rimanere il più possibile fedele alle scelte e ai desideri artistici del gruppo.

È tutta una questione di dettagli, di chiarezza, di equilibrio fra le parti musicali. Niente di trascendentale, nessuno stravolgimento del disco originale. Però, come dice Giles Martin,

“…all’improvviso si può sentire tutto. E l’album è fatto così bene che, se si può sentire tutto, diventa una esperienza [di ascolto] nettamente migliore. Io curo il missaggio di certi dischi dove, Gesù, avrei voglia di nascondere tutto sotto le coperte.”

Tutto ciò non ha niente a che vedere con certe orride rimasterizzazioni degli ultimi anni, fatte solo per cercare di rinvigorire le vendite, a scapito della gamma dinamica di tanti album e, purtroppo, anche delle orecchie e dei gusti musicali di chi li ascolta.

Però per apprezzare al meglio una riedizione come questa (la gigantesca versione “Super Deluxe” in 6 CD/DVD mi sembra più che altro un oggetto da collezionisti fanatici) ci vuole un impianto HiFi degno di questo nome. Niente mp3, niente aac, niente cuffiette da quattro soldi o cassette asfittiche del computer. Solo un amplificatore e delle casse di qualità (o una cuffia degna di questo nome), permettono di apprezzare certe finezze musicali.

Mica facile, può esistere ancora il concetto di alta fedeltà se oggi ci si perde in discussioni se sia meglio l’mp3 o l’aac, o se sembra che il massimo dell’ascolto musicale siano casse come queste accoppiate ad un iPhone?

Sabino Maggi
Pubblicato da Sabino Maggi Segui
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