Non sono un fanatico delle caratteristiche tecniche e delle specifiche hardware nude e crude. E non da oggi, ma dai lontani anni ‘70-‘80, quando nel settore allora molto popolare dell’audio ad alta fedeltà, dei parametri tecnici significativi come la risposta in frequenza piatta fino a ben oltre l’udibile o la distorsione ai limiti delle capacità degli strumenti di misura, non si traducevano necessariamente in una migliore esperienza d’ascolto, perché quello che contava di più era l’equilibrio generale del sistema d’ascolto e l’interazione fra i suoi componenti.
So quindi che paragonare gigahertz per gigahertz o pixel per pixel le specifiche tecniche di due computer non ha molto senso: ciò che conta veramente è la qualità dei singoli componenti e come questi interagiscono fra loro,1 senza mai dimenticare il sistema operativo che fa funzionare e coordina il tutto.
Nonostante ciò, la presentazione degli ultimi MacBook Pro mi ha deluso parecchio. Vorrei approfondire qui i motivi di tale delusione, cominciando dalle caratteristiche hardware dei nuovi MacBook Pro ed in particolare dal processore installato.
Kaby Lake
Secondo molti commentatori Apple non ha inserito il nuovo processore Kaby Lake nei nuovi MacBook Pro perché Intel non riesce ancora a produrre i modelli adatti ai portatili e che questa scelta è poco rilevante perché Kaby Lake è solo marginalmente più veloce del processore Skylake di un anno fa.
Alcuni aggiungono che non sarebbe stato comunque possibile utilizzare il nuovo processore perché i MacBook Pro sono stati progettati ben prima della presentazione di Kaby Lake, tanto che anche Microsoft non li ha usati per i suoi nuovi Surface Book e Surface Studio.
Sono argomenti che non mi convincono più di tanto.
Tick-tock
Intel ha fabbricato per anni i suoi processori seguendo il modello tick-tock, in base al quale in un determinato un anno propone un processore fabbricato con un processo produttivo rinnovato e una architettura già matura (tick), e l’anno successivo ottimizza il processo produttivo della generazione precedente e rinnova l’architettura del sistema (tock).
Da quest’anno Intel ha introdotto una seconda fase tock di ottimizzazione, perché la progressiva diminuzione delle dimensioni e della spaziatura degli elementi attivi – i processori più recenti sono fabbricati con un processo a 14 nm, un numero che indica più o meno la distanza minima fra i transistor MOSFET che costituiscono gli elementi attivi del dispositivo – si sta scontrando con i limiti intrinseci della tecnologia, dettati dalle leggi fondamentali della fisica.
I processori Kaby Lake sono il prodotto di questa ulteriore fase tock, e infatti usano lo stesso socket di Slylake, con il quale sono perfettamente compatibili. In pratica, si può prendere un processore Kaby Lake e sostituirlo allo Skylake equivalente, modificando solo il firmware della scheda madre (il cosidetto UEFI, Unified Extensible Firmware Interface), in modo che supporti le caratteristiche più avanzate del nuovo processore.
Problemi?
Di conseguenza, Apple e Microsoft avrebbero potuto benissimo sviluppare i nuovi modelli usando i vecchi processori Skylake per il grosso del lavoro di progettazione e gli esemplari di preserie di Kaby Lake (disponibili in anticipo per i grossi clienti mesi prima della presentazione ufficiale) per gli affinamenti finali.2 Del resto Apple ha utilizzato più volte processori appena usciti dalle fabbriche di Intel per i suoi nuovi Mac, anzi l’ha fatto proprio con il primo Mac Intel del 2006, che montava in anteprima il nuovissimo Core Duo.
Il fatto che sia Apple che Microsoft abbiano usato il processore dell’anno scorso, mi fa pensare che Intel non sia ancora riuscita ad affinare a sufficienza il processo di fabbricazione,3 e non riesca ancora a produrre processori Kaby Lake in volumi sufficienti alle necessità dei suoi clienti. Oppure – ipotesi ancora più probabile – che l’annuncio di agosto sia arrivato troppo in anticipo rispetto alle reali possibilità tecnologiche dell’azienda, probabilmente per pure esigenze di marketing.
Un altra possibilità è che i rapporti fra Apple e Intel si siano raffreddati, magari a causa della (possibile e futuribile) concorrenza con i processori di classe ARM prodotti da Apple. L’ho ipotizzato io stesso ma ripensandoci non mi convince più di tanto, perché non spiega come mai anche Microsoft, partner storico di Intel, abbia seguito la stessa sorte.
Ci sarebbe infine la possibilità di un effetto Galaxy Note 7, la paura di far uscire un prodotto troppo poco testato e affidabile, con conseguenze tragiche sulle finanze e sull’immagine aziendale. Ma anche questa ipotesi è poco plausibile, il ritiro del Note 7 è troppo recente da permettere sia ad Apple che a Microsoft di tornare così in fretta sui propri passi.
Ma che colpa ha Apple di tutto questo se il problema è di Intel? In teoria Apple non ha nessuna colpa, perché ha dovuto adattarsi ai tempi di Intel. Ma in pratica ne ha parecchie: Apple non presentava nuovi modelli di MacBook Pro da circa un anno e mezzo, e questi sembrano tirati fuori al momento sbagliato, più che altro per riempire un vuoto che iniziava a diventare imbarazzante e aveva pesanti conseguenze sulle vendite.
Le caratteristiche hardware
Detto questo ci sono altre cose da dire sulle caratteristiche hardware dei nuovi MacBook Pro sulle quali non si può transigere.
Se acquisto una macchina professionale come il MacBook Pro voglio che dentro ci sia il meglio di quanto è disponibile al momento: non solo un processore performante ed aggiornato, ma anche un disco a stato solido capiente e veloce, RAM più che abbondante, una scheda grafica di buona qualità.
Tutte cose che mancano nei MacBook Pro presentati la settimana scorsa, a meno di non spendere cifre da capogiro per i modelli più performanti. Cifre con le quali si può acquistare un Mac Pro che, nonostante abbia ormai tre anni, continua di certo a lasciare nella polvere qualunque portatile, almeno dal punto di vista delle pure prestazioni velocistiche.
Barattare delle caratteristiche hardware di base con una Touch Bar glamour o con una oretta in più di durata della batteria è incomprensibile, almeno dal mio personalissimo punto di vista. Se devo lavorare in mobilità, l’iPad o l’Air mi bastano e mi avanzano. Ma se devo lavorare seriamente in mobilità, ho bisogno di una macchina potente e veloce, il fatto che debba collegare o no all’alimentatore diventa quasi sempre irrilevante.
Tutto ciò è confermato dalle prime recensioni del modello base da 13 pollici e senza Touch Bar del nuovo MacBook Pro, l’unico modello già disponibile. Ho avuto solo il tempo di scorrerle velocemente, ma mi sembra di capire che sia The Verge che Ars Technica lo considerino più che altro una versione Pro dell’Air, non un modello adatto ad usi professionali impegnativi. Fra pochi giorni, con l’arrivo dei modelli maggiori, ne sapremo di più.
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Una scheda madre e un processore di ultima generazione non possono far molto se ci si mette su della RAM scadente o un hard-disk lumaca. ↩
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Altrimenti, come farebbero i produttori di schede madri a far uscire i nuovi modelli subito dopo la presentazione dell’ultimo processore? ↩
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I processori vengono fabbricati su grosse piastre circolari (wafer) di silicio, ciascuna delle quali contiene centinaia e centinaia di dispositivi. Di questi, una parte funzionerà come previsto dalle specifiche, un’altra parte funzionerà al di sotto delle specifiche e verrà declassata a modelli di classe inferiore, mentre i dispositivi rimanenti funzioneranno al di sotto di una soglia minima di accettabilità o non funzioneranno affatto. Ottimizzare il processo di fabbricazione in modo da aumentare la percentuale di dispositivi funzionanti per ogni wafer consente di diminuire i costi di produzione e, di conseguenza, anche il costo per l’utente finale. ↩