Non ho visto la puntata di Presa Diretta di Riccardo Iacona dedicata alla ricerca scientifica.
Avrei dovuto farlo, lo so. La puntata era dedicata a quello che ho scelto di fare con enorme entusiasmo quasi trent’anni fa, preferendolo ad alternative (allora c’erano, altro che se c’erano) ben più remunerative, ma anche molto più banali e noiose.
Ma non l’ho vista (e non voglio vederla) di proposito.
Perché se fai questo lavoro e vedi cosa è diventato negli ultimi anni il mondo della ricerca scientifica in Italia, non puoi che farti prendere dal magone e dalla voglia di buttare tutto all’aria. Figuriamoci riuscire a reggere quasi due ore di trasmissione ben documentata e ficcante.
Perché la ricerca in Italia è un ammalato grave, gravissimo, anzi ormai moribondo. Mi vengono in mente tre motivi su tutto:
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Perché ci sono troppo pochi fondi. Senza soldi non si fa ricerca, e i pochi soldi che ci sono vengono destinati soprattutto a progetti di ricerca applicata, quella che sfrutta conoscenze già note per applicazioni industriali con un immediato ritorno economico. Non ho niente contro la ricerca applicata (anzi), ma senza la ricerca fondamentale – quella che butta via dei soldi per studiare cose nuove e apparentemente inutili (a che diavolo serve il bosone di Higgs?) – anche la ricerca applicata prima o poi si esaurisce e muore.1
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Perché ci sono troppi precari. Il mondo della ricerca è vecchio, mi guardo intorno e e vedo tutti colleghi (almeno) sui cinquant’anni. Anche i precari più anziani vanno ormai per i quaranta, con pochissime possibilità di riuscire a raggiungere l’agognata stabilizzazione. I pochi fondi che arrivano se ne vanno a pagare i contratti dei precari, e rimane pochissimo per i laboratori, la strumentazione, gli strumenti di calcolo, cioè i mattoni fondamentali con cui si fa la ricerca.
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Perché ci sono troppi intoppi burocratici. Per la sua stessa natura, la ricerca ha bisogno di essere libera da troppe pastoie burocratiche, che spesso sono solo un inutile spreco di soldi. Ho conosciuto gente negli USA che poteva preparare dei campioni a Chicago, saltare sul primo aereo e misurarli la sera stessa a Pittsburgh. Io per andare domani a fare una settimana di misure a Salerno ho dovuto riempire tre o quattro moduli, far preparare una convenzione ufficiale all’ente pubblico che mi ospiterà e aspettare quindici giorni per le autorizzazioni obbligatorie. E tutto per una cosa che è a costo zero per il mio Istituto!
Se ne può uscire? Non lo so , ma nonostante tutto non voglio arrendermi. E ho sottoscritto volentieri una petizione per il rilancio della ricerca pubblica, l’unico modo realistico per stimolare l’economia e creare veri posti di lavoro.
Da qualche giorno la petizione è aperta a tutti. Andate sul sito di Change.org, che spiega molto meglio di me le ragioni della richiesta, leggete il testo della petizione e, se vi convince, firmatela e condividetela tranne i canali sociali a cui siete affezionati.
Per una volta perfino Facebook potrebbe servire a qualcosa!
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Non male questo articolo sui risultati applicativi inaspettati della ricerca fondamentale ↩