Gli smartwatch sono forse gli oggetti tecnologici più in cerca di una collocazione ben definita. Pebble, l’azienda che ha inventato il concetto stesso di smartwatch, è in crisi profonda ed è stata acquisita pochi mesi fa da Fitbit, subendo una cura dimagrante che le ha fatto perdere il 60% della forza lavoro. Android Wear non è mai decollato, anzi probabilmente non è mai nemmeno partito, condannato da un hardware inguardabile e da un software deficitario.
L’unico smartchwatch di successo è, scommettiamo?, Apple Watch che in un paio di anni ha distrutto i concorrenti prendendosi il grosso delle vendite, anche se è difficile separare i meriti di Apple Watch dai demeriti dei concorrenti.
Quello che manca agli smartwatch è una applicazione killer che li renda desiderabili oltre la cerchia ristretta nella quale sono penetrati finora. Il fitness, il monitoraggio e la registrazione dei parametri bio-fisici mentre si fa attività sportiva, probabilmente non basta, non è una ragione sufficiente per desiderare di possedere uno smartwatch.
Una cosa simile è successa negli anni’80 con l’avvento dei computer personali come l’Apple II; la pubblicità lo collocava in cucina, davanti ad un signore che scriveva un rapporto mentre sorseggiava un caffé e aspettava che il pranzo fosse pronto. Interesse del pubblico per una cosa del genere: tiepido. Poi è uscito VisiCalc e iniziarono a fare a botte per assicurarsi un Apple II e poter usare il programma.
Proprio intorno agli anni ‘80 nascono anche i primi orologi intelligenti, i nonni degli smartwatch di oggi.
Il primo in assoluto fu l’HP-01, prodotto nel 1977 dalla mitica Hewlett-Packard, che in quegli anni era l’azienda più avanzata nel campo della tecnologia elettronica digitale.1
l’HP-01 era un modello a quarzo (una vera novità) con un mini-display a cristalli liquidi e funzioni strepitose per l’epoca: allarme, cronometro, calendario e calcolatrice. Tutte utilizzabili tramite una micro-tastiera da 28 tasti, così minuscoli da dover essere premuti con lo stilo incorporato nel cinturino d’acciaio, una cosa degna di James Bond. L’elettronica era distribuita su ben sei circuiti stampati alimentati da tre batterie, un vero e proprio gioiello tecnologico per l’epoca.2
L’HP-01 costava 695 dollari, equivalenti a più di 2.700 dollari di oggi.
Successo commerciale: zero. Troppo complicato, troppo scomodo da usare, troppo caro. E con un display a LED che consumava rapidamente le batterie e che era già tecnologicamente obsoleto, destinato ad essere rapidamente soppiantato dai nuovi display a cristalli liquidi (LCD).
E già che siamo in tema di orologi, come non ricordare il Black Watch, l’Orologio Nero non intelligente di Sir Clive Sinclair, l’indimenticato padre dello ZX Spectrum e del QL ma anche il genio incontrastato del vaporware?
Nel 1975, il Black Watch veniva venduto a 18 sterline (o 29.95 dollari) in scatola di montaggio e a 25 sterline (49.95 dollari) già montato, ma non faceva differenza, tanto non funzionava. Ed era meglio così: i pochi esemplari che riuscivano ad accendersi erano totalmente inutili, perché l’ora visualizzata dipendeva fortemente dalla temperatura esterna.
Sinclair, con la faccia tosta che lo caratterizzava, riuscì perfino a riutilizzare le scorte invendute, trasformandole in orologi da cruscotto. C’è qualcuno oggi che cerca di imitarlo, annunciando uno ZX Spectrum rivisitato che probabilmente non vedrà mai la luce. Io comunque mi sono registrato, voglio proprio vedere fino a che punto gli epigoni saranno degni del maestro.
Bibliografia
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La Texas Instruments, la più importante concorrente di HP nel campo dell’elettronica di consumo, intanto produceva il LED Watch, un orologio carino e molto economico ma privo di funzioni intelligenti. ↩
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Chi fosse interessato ai dettagli tecnici può leggere questo articolo dedicato all’HP-01, pubblicato sull’HP Journal di dicembre 1977. ↩