scienza,

L’università italiana è anche questo: decadenza inarrestabile

Sabino Maggi Sabino Maggi Segui 4-Sep-2014 · 5 minuti di lettura
Condividi

Dopo quanto è stato detto in questi giorni, non ci si può stupire che gli studenti italiani fuggano dall’università.

In base ai dati dell’Uffico di Statistica del MIUR (si noti lo stile anni ‘90 del sito), negli ultimi dieci anni i nuovi immatricolati sono passati da 338.036 (nell’anno accademico 2003-2004) a 253.848 (nel 2012-2013). In termini percentuali stiamo parlando di una diminuzione (o meglio di una vera e propria emorragia) del -25%. Negli stessi anni il totale degli iscritti è diminuito da 1.814.048 a 1.709.408 (-6%).

I motivi sono vari. Fra questi credo che conti moltissimo la consapevolezza che la laurea non garantisce più un inserimento veloce nel mondo del lavoro, nemmeno per gli studenti dei corsi di laurea tradizionalmente più attraenti dal punto di vista professionale (ingegneria, chimica, informatica, economia).

Una parte degli studenti, inoltre, preferisce studiare all’estero piuttosto che in Italia, dove le opportunità lavorative sono maggiori e dove, nella ricerca di un lavoro, conta prevalentemente il merito e non le parentele.

Venti-trent’anni fa studiare all’estero era un privilegio riservato a pochi, tanto più alte erano le spese da affrontare tra tasse universitarie, alloggio, viaggi e perfino telefonate. Oggi le differenze si sono praticamente annullate. I viaggi in aereo, con un po’ di pianificazione, costano meno degli altri mezzi di trasporto, comunicare con la famiglia o gli amici è quasi gratis, anche i costi degli alloggi si sono allineati.

E le tasse universitarie? Per quelle serve un discorso a parte. Negli ultimi anni in Italia le tasse universitarie sono cresciute a livelli astronomici, anche per compensare il continuo calo di finanziamenti statali degli ultimi dieci anni.

A questo si aggiungano le famigerate “fasce di contribuzione”, in base alle quali l’importo delle tasse universitarie dipende dal reddito familiare. Una cosa sacrosanta in teoria, ma profondamente ingiusta nella pratica, che favorisce i tanti evasori formalmente nullatenenti o quasi a scapito degli studenti con famiglie a reddito fisso, che finiscono ancora una volta a dover pagare anche per i disonesti.

Un esempio eclatante è la Bocconi di Milano, che divide gli studenti in quattro fasce patrimoniali a cui corrispondono tasse comprese fra circa 5.000 e 11.000 euro all’anno. Avete letto bene, 5.000 euro di tasse per la fascia minima, relativa ad un patrimonio familiare fra 0 e 52.000 euro! Si tenga conto che nel patrimonio familiare bisogna includere tutti i redditi, anche quelli esenti dal punto di vista fiscale, oltre che il 10% del valore catastale degli immobili di proprietà [1].

Insomma, uno studente della Bocconi con i due genitori che percepiscono un reddito fisso medio-basso e con una casa di proprietà finirà di sicuro almeno in seconda fascia, pagando 7.000 euro di tasse all’anno, quasi il doppio del collega figlio di un gioiellere che, poverino, guadagna appena 17.000 euro medi all’anno.

Si dirà: ma la Bocconi è una università privata, e quindi fa pagare chi e quanto vuole. Magari! La Bocconi ha ricevuto nel 2012 ben 15 milioni di euro di contributi statali (l’11% in più rispetto al 2011, a fronte di un taglio del 5% nello stesso periodo per le università statali). Se questo è privato…

Altra obiezione: ok, le tasse saranno alte, ma almeno la Bocconi è una università di eccellenza. Anche questa è una convinzione sbagliata. La Bocconi si posiziona sempre a livelli mediocri nelle classifiche internazionali di qualità, e l’altissimo livello delle tasse universitarie la obbliga a far iscrivere anche gli studenti classificatisi molto indietro nelle graduatorie dei test di ammissione.

Ma come fanno all’estero? Prendiamo per confronto la London School of Economics and Political Science, la prima università non USA in questa classifica mondiale nel settore Economia e Finanza (in questa classifica la Bocconi si trova in un punto indeterminato fra il 100 e il 150 posto, su un totale di 200 università). Se si riesce ad entrare (basta compilare un modulo online con il proprio curriculum, senza test più o meno cretini, tasse di ammissione o burocrazia varia), è vero che bisogna pagare la bella cifra di 9.000 sterline (più di 11.000 euro) all’anno, ma non bisogna farlo immediatamente.

Students ordinarily resident in England and EU students do not have to pay any tuition fees up front. Instead, the cost of tuition is covered by a non-means tested government loan which you will only start to repay once you have left university and are earning over £21,000 per year.

(Gli studenti residenti in Inghilterra e nella Unione Europea non devono pagare anticipatamente le tasse universitarie. La retta è coperta da un prestito governativo non soggetto a particolari condizioni di reddito, che lo studente inizierà a restituire solo al termine dell’università, quando guadagnerà più di 21.000 sterline (26.000 euro) all’anno).

Come se non bastasse, l’università aiuta gli studenti anche per quanto riguarda le spese di residenza a Londra.

Mi chiedo se non sia molto più giusto dal punto di vista sociale questo sistema, che permette ai migliori anche se a basso reddito di frequentare una università di primissimo piano (evidentemente con la certezza di trovare rapidamente un lavoro ben pagato alla fine degli studi), rispetto alle nostre presunte garanzie, fasce di reddito, ISEE e sciocchezze analoghe, che favoriscono soprattutto i truffatori.

Oltre che favorire – associate a raccomandazioni e nepotismo – la decadenza sempre più rapida ed inarrestabile del nostro sistema universitario e della ricerca in generale.

Mentre stanno finendo le mie vacanze, vorrei chiudere con questo posto le mie ultime disquisizioni un po’ amare sul mondo dell’università italiana, tornando a temi più tecnici e leggeri. Spero di non aver annoiato troppo con i miei sfoghi polemici.


[1] Ad esempio, il Politecnico di Torino da questo punto di vista è molto più equilibrato. Le sue tasse annuali ammontano ad un massimo di 2.500 euro, con una diminuzione (fin troppo granulare) in base al reddito familiare, pesata in modo tale che le tasse siano pari al massimo a circa il 3% del reddito lordo, corrispondenti al 4–6% del reddito netto.

Sabino Maggi
Pubblicato da Sabino Maggi Segui
Commenti

Aggiungi un commento