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I miei 30 anni di Mac

Sabino Maggi Sabino Maggi Segui 27-Jan-2014 · 2 minuti di lettura
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Ho avuto la fortuna di riuscire ad usare veramente il primo Macintosh 128k, pochi mesi dopo la sua uscita. È stata un’esperienza emozionante e ne ricordo ancora perfettamente tutti i particolari.

Mi stavo aggirando nel vecchio Dipartimento di Fisica di Torino quando un amico mi chiamò furtivamente per trascinarmi senza complimenti in un corridoio secondario del Dipartimento. Lo conoscevo, c’erano alcuni laboratori di elettronica dove lavoravano degli amici tesisti. Ogni tanto passavo da lì per salutare, ma poiché era riservato ai particellari (nel gergo di allora, i fisici che studiavano la fisica delle particelle), non avevo molto da fare lì. Proprio parlando in una stanza con uno di loro, avevo deciso di passare a stato solido (quella che oggi si chiama fisica della materia).

L’amico carbonaro mi portò in una stanza dove non ero mai stato. L’ingresso era quasi bloccato da un vecchio PDP-11, un armadio alto due metri, ormai in disuso.

Oltre il PDP-11 c’era una scrivania, una di quelle tipiche da laboratorio in metallo con i cassetti al lato, e sopra la scrivania… lui!

Sapevo perfettamente cos’era. Avevo letto avidamente le prime presentazioni del Macintosh pubblicate fra febbraio e marzo su Bit e MC Microcomputer, le riviste storiche di microinformatica in Italia. Conoscevo molto bene la Apple: l’Apple II era il computer di riferimento dell’epoca, usatissimo anche all’università, insieme al VAX.

Purtroppo io a casa dovevo accontentarmi di un misero VIC-20 con espansione di memoria da 8(!) kB autocostruita e poi di un Commodore 64, di cui conoscevo ogni locazione di memoria.

Ero abituato a cassoni enormi, ad armadi pieni di lucine e di interruttori, perfino l’Apple II era bello grande. Al confronto il Macintosh sembrava un giocattolo.

Mi sedetti davanti al monitor da 9 pollici, così minuto rispetto ai terminaloni a cui ero abituato, e toccai per la prima volta un mouse. Non ci volle molto per abituarsi, era molto più semplice da usare di quanto immaginassi.

Incredibile! Pochi anni prima, al primo anno di università, usavo ancora le schede perforate. L’anno dopo mi ero intrufolato in una sala terminali di informatica che mi sembrava un paradiso tecnologico. Ero abituato a inserire comandi al computer e ad aspettare la risposta per delle mezz’ore. Ed ora? Ora, invece, tutto quello che facevo compariva immediatamente sul piccolo monitor che avevo davanti.

Era emozionante. Sentivo confusamente di stare osservando il futuro. Il mondo dei computer non sarebbe stato più lo stesso, l’élite dei meccanici, che conoscevano i dettagli intimi del funzionamento dei computer (élite a cui sentivo di appartenere un po’ anch’io) sarebbe stata travolta dai neopatentati, che il computer l’avrebbero solo usato, senza avere la minima idea di come funzionasse. E tutto grazie a un piccolo computer che sembrava un giocattolo, ma che costava come una utilitaria.

Dopo un po’ il mio amico si avvicinò e mi disse: “Ha fatto lo stesso effetto anche a me”.

Era tardi, l’istituto stava per chiudere e dovemmo andare via e lasciare il nostro nuovo giocattolo.

Lo rubarono subito. Non lo vedemmo più.

Sabino Maggi
Pubblicato da Sabino Maggi Segui
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